In una città dove si fa archeologia quando si parla di saggi architettonici dell’Ottocento, il contemporaneo è uno sguardo al futuro. Che tiene spesso, sottinteso, un nunca màs. Il Tempo è rapido e lento insieme. La città è frenetica, una giornata non basta ad attraversarla, gli autobus investono, e poi tutto si ferma nel rito di un mate al parco, in una biblioteca, in una gita di bambini. I milioni di caffè rallentano le corse quotidiane quasi a trattenere la gente, che si incontri. I giovani hanno lì i loro uffici. E si re-inventano, in continuazione. L’arte e il design si respirano già per le strade. La città pullula di buoni musei, centri culturali e fondazioni: si aprono all’esterno non solo proponendo una continua rotazione di mostre, ma soprattutto incontri e laboratori quotidiani, accessibili a tutti, a partire dal prezzo. E non si parla solo di arti visive, ma anche di musica e letteratura, all inclusive.
La Fundación Proa è senza dubbio un centro di sperimentazione artistica all’avanguardia e di grande apertura internazionale. Con le sue mostre, incontri e rassegne, è un sicuro punto di incontro e partecipazione, studio e ricerca. Abbracciata dal Riachuelo e il Caminito, in un luogo storico e di sempre viva attrazione, si pone stimolante già dall’esterno. Viene completamente rinnovata nel 2008, dopo dodici anni di vita, dallo studio di Milano Caruso-Torricella Architetti: si tratta di tre edifici contigui sul lungo-fiume, di cui il centrale è mantenuto originale, affiancato da due ali che si aprono all’esterno con facciate in vetro, in un complesso di interni fluidi e intercomunicanti che rendono piacevole, e agevole, la visita. Il 2014 si chiude con due mostre personali emozionanti, dedicate a Fabio Mauri e Cai Guo-Qiang. La prima è già terminata, mentre la seconda è in corso e vede anzi un completamento nella data del 24 gennaio 2015 con un incredibile e infinito spettacolo di fuochi artificiali e coreografie sceniche create dallo stesso artista, in una tipologia tipica del suo operare. Fabio Mauri, artista multiforme e poetico anche nell’interpretare drammi storici e vissuti, viene presentato a tutto tondo in un excursus dagli anni ’50 alla sua morte. Dai primi lavori su carta, agli Schermi, alle sculture che si fondono con le installazioni, fino ai video, in una sequenza affascinante delle sue performance, interpretazioni e spettacoli veri e propri. Tra questi ultimi, è interessante, per la biografia, una sua lettura sul rapporto con Pier Paolo Pasolini, amico e importante compagno di ricerche, e tra l’altro il primo che lo presentò a una galleria. Cos’è il fascismo, del 1971, rappresenta, in una più che performance, una perfetta gioventù fascista, bella, atletica e organizzata; ed Ebrea, dello stesso anno, viene riportata in vita nell’allestimento della mostra con l’installazione dello specchio marchiato dalla croce di David in capelli (ebrei), di crudi oggetti che simulano provenienza umana (pura pelle ebrea), e chiusa a fondale dal successivo Muro Occidentale o del Pianto (1993). C’è inoltre Il televisore che piange, moderno schermo bianco, schermo che è simbolo della porzione di mondo che possiamo vedere, e allo stesso tempo possibilità di inventarsi, di proiettare una continuazione al finale di una finzione o la propria storia – schermo poi ripetuto in sequenza nell’installazione Perché un pensiero intossica una stanza. E ancora, Ideologia e Natura del 1973, che fu riportato alla 55ma Biennale di Venezia del 2013 nel Padiglione Italia, ha qui un tempo scandito dalla voce della giovane che dice a se stessa un perenne NO, “io non voglio, no, non io, non voglio essere fascista”, mentre si sveste della divisa di Piccola Italiana, la piega, si mette a nudo, spogliandosi di ciò che la definiva – per poi rivestirsi. Il Professore – chè molti anni insegnò Estetica a L’Aquila – si è sempre definito insofferente a ogni forma di ideologia e ortodossia politiche e culturali, inserendosi in un ben più ampio ambiente artistico che toccasse ogni forma d’arte, da quello letterario al cinema alle arti plastiche e al teatro. “Gli interessi di Mauri non si limitarono mai solo all’arte, ma al mondo in generale. […] Intellettualmente complessa, l’arte di Mauri non fu mai pensata come discorso dell’arte sull’arte, come testo fuori dal mondo, ma come una scrittura che fa mondo, come corrisponde nell’opera di un artista che vuole essere – e sa di essere – anche un intellettuale” – come si legge in catalogo nelle parole di Giacinto Di Pietrantonio, curatore della mostra. Perché Fabio Mauri è un artista-intellettuale. Umberto Eco, nel suo saggio dal titolo esauriente “Uno smarrimento convinto” a prefazione del libro “Fabio Mauri, ideologia e Memoria” (a cura dello Studio Fabio Mauri, ed. Bollati Beringhieri, Tornio 2012), riporta una breve intervista a Mauri, del 2005, che sintetizza il suo pensiero così: “Io non facevo politica, ma coscienza; è una cosa identica e insieme profondamente diversa”.
Dall’Italia si torna in Argentina attraverso l’Oriente e passando per New York: Cai Guo-Qiang è un vero ponte transculturale che si immerge nell’anima di un Paese per costruire una propria storia. Si è definito un seme che vola nel vento, che ogni volta che si ritrova a terra si nutre della stessa terra locale, e in lui/da lui nasce qualcosa di nuovo. In occasione della mostra Impromptu (Improvvisazione) ha lavorato a un progetto specifico, invitato dalla Fundación Proa. Ha visitato più volte la Capitale, per viverne l’atmosfera della tradizione del tango. Rituali e movimenti vengono esposti non solo nella serie di carte che danno il nome alla mostra, ma anche nell’installazione La vida es una milonga, dove figurine di ceramica danzano sospese al suono di carrillon appesi su sedie al soffitto. Dato che è l’esperienza diretta che alimenta il suo operare, Cai ha viaggiato al Nord, da Iguazù a Salta, per assaporarne usi e costumi, conoscendo e frequentando la gente del posto. Poi ha armato un vero e proprio laboratorio a Buenos Aires, coinvolgendo studenti d’arte: durante l’intenso lavoro di équipe si è creata un’energia forte, proprio ciò che Cai vuole trasmettere ai ragazzi, in un’esperienza collettiva, per portare avanti la sua indelebile firma, una pratica artistica esplosiva – perché di questo si tratta, questo è il suo medium caratteristico. In mostra ci sono principalmente opere di grande formato, che rievocano in ombre quasi oniriche le sensazioni provate dall’artista in Argentina, e tradotte su carta. L’uso della polvere da sparo dà ampie possibilità formali, con l’incognita del processo di combustione, che ha in sé un’impronta spontanea e non totalmente controllabile. “Mai in trent’anni mi sono bruciato tanto come ora”, azzarda, sorridendo, l’artista durante la presentazione del suo modus operandi. La ciudad del sueño eterno, Centinelas del Valle Encantado, Agua Grande, Rastros de enredadera: questi alcuni dei titoli. Si parte da un’immagine vissuta, per esempio nella piana del Parque Nacional de los Cardones, tra Salta e Cachi, nell’altissimo Nord-Ovest andino. Stele (o meglio, sentinelle) a uno o più bracci si allineano in una frequenza cardiaca di un’ambientazione arida, secca, assolata, tanto assolata da dare il miraggio di aureole sulla testa dei cactus. È una sensazione indimenticabile, che si ritrova forte e viva qui. L’artista si rivela profondamente colpito da tale poesia, ma ancora più commosso nel ricordo della vicinanza con le persone che ha conosciuto nel percorso. Da antico calligrafo, seppure informale, traccia una trama, percorrendo le grandi carte, camminandoci sopra, in piedi. Tagliando l’immagine ne esce uno stencil, che mantiene sotto di sé la carta finale: cosparso di polvere da sparo in diverse sfumature, il tutto viene coperto e protetto da pesi, in preparazione all’esplosione. L’accensione della miccia è un momento delicato tanto quanto l’abilità nel rimuovere le protezioni e spegnere con delicatezza i focolai sull’opera. L’opera è accesa, bruciata, vissuta, e viva. Info: www.proa.org