Buenos Aires contemporanea #1

In una città dove si fa archeologia quando si parla di saggi architettonici dell’Ottocento, il contemporaneo è uno sguardo al futuro. Che tiene spesso, sottinteso, un nunca màs. Il Tempo è rapido e lento insieme. La città è frenetica, una giornata non basta ad attraversarla, gli autobus investono, e poi tutto si ferma nel rito di un mate al parco, in una biblioteca, in una gita di bambini. I milioni di caffè rallentano le corse quotidiane quasi a trattenere la gente, che si incontri. I giovani hanno lì i loro uffici. E si re-inventano, in continuazione. L’arte e il design si respirano già per le strade. La città pullula di buoni musei, centri culturali e fondazioni: si aprono all’esterno non solo proponendo una continua rotazione di mostre, ma soprattutto incontri e laboratori quotidiani, accessibili a tutti, a partire dal prezzo. E non si parla solo di arti visive, ma anche di musica e letteratura, all inclusive.

Nei pressi de La Boca, il noto quartiere del porto di Buenos Aires sull’immissione del Riachuelo nel Rio de La Plata, e non lontano dal più moderno Puerto Madero, in un’area buia dimenticata da tempo tra vecchi depositi e la superstrada, sorge un’antica fabbrica, che in lontananza ha il fascino di un castello. È la storica Usina della città, la centrale elettrica che per ottanta anni, dalla seconda decade del Novecento, ha illuminato la Capitale. Dal 2012, quella che un tempo fu la sede della Compagnia Italo-Argentina di Elettricità (CIAE) dà nuova luce, in veste nuova. Siamo di fronte alla Usina del arte, immenso complesso polifunzionale e tecnologico completamente rinnovato, rispettando la spazialità caratteristica dell’edificio. Svuotato dei macchinari, diventa un contenitore di idee. Le più diverse manifestazioni si sono succedute dall’apertura in pompa magna, alla presenza dei rappresentanti del Governo della Città che hanno portato avanti il progetto per ben dodici anni. La struttura venne conservata fin nei particolari, mentre all’interno andava sorgendo il primo Auditorium della città specificatamente per musica sinfonica. È meraviglioso. Se il restauro esterno riportava in vita le decorazioni in marmo di Carrara sui mattoni a vista, gli stessi ingegneri che lavorarono al Teatro Colòn (osannato tra i primi cinque al mondo per qualità del suono) isolavano la sala per un’acustica ottimale. L’abito eclettico di un neorinascimento fiorentino detto anche neomedievale o romanico-lombardo – come è chiamato, qui, lo stile degli edifici all’italiana degli inizi del secolo scorso – venne fatto su misura da un architetto italiano, appunto, Juan (Giovanni) Chiogna.

La sua impronta si trova nascosta in altre centrali, di ridotte dimensioni, ora all’ombra dei grattacieli del centro. La Usina funziona da generatore di reazioni a catena di nuovi programmi di riqualificazione urbana nell’area sud della città. La Milla Cultural Sur è già attiva in direzione del barrio San Telmo. E proprio adesso sta sorgendo, imposto dall’alto, un nuovo Distrito de las Artes che la collegherà con il grande centro artistico a vocazione fortemente internazionale che è la Fundacion Proa. Il percorso è lungo, e tempestato di buche, ma l’intento è vistoso. Perché La Boca non sia solo Caminito o miseria. Staremo a vedere. Tra i vasti spazi dell’Usina, la Nave Mayor ha un che di incredibile che può essere sfruttato per installazioni immense, data l’altezza. Non quanto la Tate Modern di Londra, ma ha la sua potenzialità. È stata da poco smontata l’installazione dell’argentino Leandro Elrich, Edificio. Il primo della serie fu ideato per Parigi, per la Nuit Blanche del 2004. Poi seguono quelli di Linz in Austria, e di Donetsk in Ucraina. Fino ad approdare al nuovo site specific di Buenos Aires.

In ognuna di queste occasioni il fulcro è il pubblico, attore all’interno dell’opera, che simula la scalata sul fronte di un palazzo rimanendo disteso per terra, dove si trova la metà del lavoro. L’altra metà è una grande superficie coperta da una pellicola specchiante che ne riflette l’immagine, in verticale. La ricerca dello straniamento è uno dei concetti principali della poetica di Elrich, ma è uno straniamento partecipativo, che unisce, che sa di gioco. È da ricordare, anche se venne attivata solo per l’inaugurazione del 2012, un’altra grande installazione, di Ryoyi Ikeda (Gifu, 1966). Nella Calle interna (ovvero una strada, all’aperto, del complesso dell’Usina) un fascio di luce alto 10 km si erge a faro di questo nuovo centro. Spectra condensa vecchia e nuove identità del luogo senza bisogno di altre immagini che l’energia luminosa stessa. Poi conferenze, incontri, performance di danza, video, tango classico, un futuristico Van Gogh in versione 3D, la Mafalda di Quino (padre del fumetto argentino) che nacque esattamente cinquanta anni fa e qui viene celebrata ovunque, in città. Ma sfogliando la programmazione, l’anima viva rimane ancora la musica, la prima vera vocazione di questo centro culturale. Classica, jazz, rock, contemporanea, senza distinzioni. In questo contesto bene si inserisce l’apertura di un nuovo festival, che viene dall’Italia.

È stato qui presentato, il primo sabato di dicembre, il roBOt, ormai storica manifestazione bolognese dal sottotitolo digital paths into music and art, arrivata alla settima edizione. In Argentina ne è prevista la prima nel prossimo autunno (stagione locale), con il nome di roBOt BA. Per ora c’è stato il lancio con una intera giornata di workshop, incontri, video-installazioni di giovani artisti italiani, e l’immancabile musica elettronica. Tra i partners istituzionali: il RBMA – Red Bull Music Academy, l’Università di Bologna representaciòn en la Republica Argentina, e il Goethe-Institut, che ha partecipato con l’invito di Robert Lippok, protagonista della scena post-rock-elettronica tedesca con un’esibizione nell’Auditorium. Di roBOt ogni anno esce un manifesto differente: Lostmemories è l’attuale input alla riflessione artistica sul processo di costruzione della memoria tramite le nuove tecnologie (come memorie digitali), che possono aiutare o prevaricare l’uomo. Lostmemories è anche il punto di partenza per una Open Call internazionale adesso in corso per la selezione di opere da inserire nel prossimo festival di Buenos Aires: il bando prevede installazioni, video e progetti di animazione, fotografia e disegno. Un motivo in più di grande fermento, dunque, per la Usina del Arte.

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