Non è passato molto tempo dall’inizio della rivoluzione digitale. Erano solo gli anni Novanta quando le prime lente e instabili connessioni internet occupavano la linea telefonica delle case e degli uffici e il millennium bug terrorizzava il mondo globalizzato. Nel giro di soli vent’anni l’intelletto umano ha fatto passi talmente grandi da doppiare addirittura il lento intercalare del tempo: la tecnologia ha introdotto nuovi linguaggi, ha ridotto le distanze tra realtà e finzione e cambiato la percezione dell’impossibile. E mentre in quegli anni qualcuno sperimentava e codificava una nuova dialettica artistica, più incline all’elasticità del web, nel mondo cresceva qualcun altro che sognava di poter sfruttare la rete per rendere l’arte ancora più universale, in grado di mostrarsi fruibile a tutti, a qualunque distanza, geografica o sociale. Questo qualcuno ha un nome. È Amit Sood, oggi direttore del Google cultural institute, un ingegnere di origine indiana che ha ideato Google Art project. Si tratta di un’idea che ha letteralmente invertito i paradigmi dell’accesso all’arte. Grazie a questo programma oggi basta un click per entrare virtualmente in musei e gallerie, osservare online la bellezza dei particolari di quadri e sculture. Il segreto che rende speciale questa intuizione? I pixel, ovvero i nuovi pennelli dell’era virtuale. È l’altissima risoluzione delle immagini (7 miliardi di pixel) a rendere unico questo sistema, tanto che molte strutture museali ne sono state sedotte, decidendo di aderirvi. Oggi Art project unisce e divide l’enorme platea degli appassionati d’arte e degli addetti ai lavori. C’è chi ravvede in questo strumento un potenziale rischio di mercificazione dell’arte e chi, al contrario, ne coglie la potenza mediatica e culturale. Quello che resta, grattando via orgogli e pregiudizi, sono i numeri, davvero impressionanti: 345 partner nel mondo tra musei, fondazioni, istituti culturali, una lista in cui figurano, tra gli altri, anche i Musei capitolini, gli Uffizi e, da poco, anche il Maxxi; oltre 63.000 opere ospitate nella piattaforma. Dati talmente interessanti da suggerire, tanto per iniziare, una semplice domanda a Sood, l’artefice di questo geniale prodotto: come e quando è nato Art project nella sua immaginazione?
«È nato circa tre anni fa, quando un piccolo gruppo di googlers appassionati di arte ha iniziato a pensare a come usare la tecnologia per rendere i musei più accessibili. Da lì si sono sviluppate tutte le intuizioni successive. In Google avevamo la ricetta giusta per assecondare questa nostra idea perché disponiamo di tre requisiti fondamentali: abbiamo grandi conoscenze, strumenti tecnologici e, soprattutto, amiamo le sfide. Grazie a questo e alla preziosa collaborazione con musei di tutto il mondo abbiamo tradotto il 20% di questo progetto in realtà. Da quel momento il programma ha continuato a svilupparsi nell’ambito del Google cultural institute, che include, oltre ad Art project, gli archivi storici di mostre digitali e World wonders, il servizio di esplorazione virtuale di monumenti, siti storici, paesaggi naturali, città e luoghi di interesse artistico culturale».
Come è stato tradotto in realtà questo progetto?
«Con duro lavoro e una buona dose di entusiasmo. Ma ciò che ha aiutato più di tutto nella realizzazione del progetto è stata la fitta collaborazione con gli esperti della materia: Google procura il background tecnologico mettendolo a loro disposizione per aiutarli a condividere tutti questi contenuti in un modo nuovo. Avere un così ricco patrimonio culturale su un sito, fornito da istituzioni museali di primo ordine in tutto il mondo è un modo per la gente di esplorare e comprendere l’arte e la storia. Ancora adesso è un lavoro in divenire. Stiamo sperimentando nuovi linguaggi, come il 3D, che possono incrementare l’esperienza sensoriale del pubblico con l’arte».
Esiste un fronte che si oppone a questo programma?
«Siamo stati molto contenti della risposta entusiasta da parte dei musei da un lato e degli utenti dall’altro. Del resto l’aumento delle partnership, da 17 a oltre 500 nel giro di soli tre anni, è un esempio di quanto il progetto sia stato apprezzato. Come ogni cosa rivoluzionaria, anche questa idea, che introduce una nuova cultura, ha bisogno di tempo per essere compresa e sfruttata dalla gente con tutte le potenzialità che ne conseguono».
L’arte contemporanea riscuote lo stesso successo di altre forme d’arte?
«Attualmente sul sito c’è molta scelta tra forme d’arte, artisti, musei e stiamo continuando a constatare un interesse del pubblico molto eterogeneo. Anche nei confronti dell’arte contemporanea. Recentemente, ad esempio, abbiamo presentato una mostra di arte contemporanea alla Biennale di Kochi che si è aggiunta alla ricca selezione di musei già presente nel sito».
Qual è la prossima fase di questo progetto artistico-tecnologico?
«Gli step si alternano con grande intensità. Abbiamo inaugurato il progetto Google Street art, che mostra gli interventi artistici urbani nelle strade di tutto il mondo. Stiamo anche studiando nuove tecnologie per la fruibilità delle opere in modo ancora più innovativo. L’obiettivo è quello di migliorare sempre di più le tecniche di osservazione di opere come le sculture, in modo tale da mostrarle in un modo così profondo e originale che non sarebbe possibile farlo senza la tecnologia. Con Open gallery stiamo anche aiutando artisti e piccole istituzioni culturali a rendere il loro lavoro disponibile al pubblico, grazie all’uso di strumenti realizzati dai nostri ingegneri del Cultural institute».
L’ISTITUTO
Avviato nel 2010, il Google cultural institute si occupa di sviluppare tecnologia con l’obiettivo di promuovere e preservare la cultura online. Tutti i progetti sono frutto di collaborazioni strette con importanti partner italiani e internazionali: musei, fondazioni, siti di interesse culturale, archivi e altre istituzioni che gestiscono i contenuti di cui sono proprietari all’interno delle piattaforme tecnologiche messe a disposizione da Google. Tra i progetti del Google cultural institute figurano: Google Art project, World wonders e l’Archivio di mostre digitali. Info: www.google.com/culturalinstitute