Premio artivisive San Fedele

La riflessione sulla creazione attraversa tutta la storia dell’occidente. A partire dai racconti biblici, è posto l’interrogativo sull’origine del cosmo, della sua formazione, del suo significato per l’uomo, sulla nascita stessa della vita. Nel libro di Genesi si delinea il grande affresco della creazione, in cui la parola di Dio separa gli elementi del mondo, per creare un cosmo abitato dall’uomo, vertice di tutta la creazione. Tutte le riflessioni filosofiche e teologiche elaborate nei secoli terranno conto di questa narrazione primordiale e mitica. Quando oggi noi parliamo di creazione, pensiamo immediatamente allo spazio che abitiamo, al mondo che ci accoglie, oggetto di così tante aggressioni e violenze. Il tema è stato affrontato dai giovani autori che hanno partecipato al Premio della storica Galleria d’arte milanese in diversi modi, anche attraverso spunti biblici, facendo emergere diverse preoccupazioni: dalla fragilità della creazione umana alla fecondità della natura, dal desiderio di riconoscere nella creazione punti di riferimento e di orientamento, alla necessità di aiutare la natura, là dove si sono manifestate situazioni di difficoltà.

Il vincitore del Premio San Fedele 2013/2014, Andrea Francolino, con Et onne Tempo, realizza la sua opera con polvere di cemento, quasi fosse destinata a scomparire rapidamente dalla nostra vista, con un semplice soffio… di vento. Il giovane autore disegna la pianta di uno dei maggiori centri commerciali esistenti, simbolo del consumismo contemporaneo, contrapponendo così questa costruzione dell’uomo alla vitalità della natura, più forte di qualunque capacità umana di intervenire sul creato, spesso distruggendolo. Quanto realizza l’uomo, è, infatti, effimero, caduco, anche se al momento può apparire forte, imponente e impressionante per le sue proporzioni, per la sua maestosità. Tuttavia, all’uomo non sarà mai possibile, come dice Francesco d’Assisi nel Cantico delle Creature, creare «frate vento, aere, nubilo, sereno et onne tempo». L’uomo non potrà mai occupare il posto di Dio, malgrado tutti i suoi sforzi. Le creazioni umane saranno sempre soggette al passare del tempo. Perché tutto passa, è destinato a finire, a morire. Solo la parola creatrice di Dio, per riprendere il testo biblico, è eterna, salda, degna di fiducia. Il secondo classificato e vincitore del Premio Paolo Rigamonti con l’opera Ezechiele 37 è Afran, giovane autore di origine africana che riprende il testo biblico del profeta, che narra la sua visione della risurrezione dei corpi. Ezechiele vede una pianura piena di ossa inaridite che, grazie allo spirito di Dio, si rianimano, riprendono vita. È il giorno della risurrezione dei corpi. Afran realizza la spina dorsale di quello che potrebbe essere stato lo scheletro di un animale preistorico, incastrando numerose grucce, una nell’altra, come tante vertebre. Certo, vediamo che si tratta di un insieme di grucce. Tuttavia, si presentano al nostro sguardo come uno scheletro, in attesa di ricevere la vita. Creare significa accogliere il soffio dello Spirito, perché dalla morte passiamo alla risurrezione. La creazione segna questo passaggio. Giulio Raimondi, terzo classificato, con Senza titolo – La Creazione, realizza un video che riprende una scena realmente accaduta. È notte. Da uno scoglio a picco sul mare, vediamo un lume sballottato dalle onde, mosse da raffiche di vento. Si annuncia una tempesta. Che cos’è quella luce intrappolata in un’ansa del mare? Da dove proviene? Di certo, si tratta di un lume in balìa dei flutti che lo hanno condotto in un’ansa della costa. Le immagini appaiono intense e misteriose. Benché il paesaggio cupo e oscuro, sembri tuttavia suggerire una speranza. La luce, infatti, non è forse simbolo di gioia per il naufrago o per il marinaio che ritrova la terra? Se il mare sconfinato è il simbolo dell’ignoto, del mistero, vedere la luce nelle tenebre significa vivere, avere un punto di riferimento. E la vera luce, dal punto di vista biblico, è Cristo che si identifica nella luce stessa: «Io sono la luce del mondo, chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). Silvia Inselvini, segnalata dai curatori, in Cellule compie un vero e proprio ricalco, inteso come indagine sull’origine. Su di una superficie bianca vediamo, a uno sguardo molto attento, come si evidenzia un ordine, quasi impercettibile all’occhio. È un’armonia invisibile ma presente anche nei più piccoli aspetti della vita. Spesso, infatti, vediamo solo l’apparenza delle cose, la loro esteriorità, dimenticando la loro dimensione più intima e interiore. Occorre attraversare la pelle del mondo, senza limitarci all’esteriorità. Creare significa andare alle origini del senso.

Infine ci sono i giovani autori selezionati per la mostra. Se Filippo Minelli, con Silence/Shapes’ (Le forme del silenzio), documenta l’azione performativa del lancio di un fumogeno in un paesaggio, creando così un forte contrasto tra la serenità dell’ambiente e la violenza dei reagenti chimici – la creazione non è forse fatta di contrasti? – Valentina De’Mathà, con Humus Vitae, crea una piramide di sfere in argilla che, contenenti semi di legumi, mutano con il loro germogliare. La forma piramidale dell’installazione rimanda alla disposizione delle palle dei cannoni. Il germoglio, aprendo dall’interno le palle terrose, ne elimina la carica distruttiva, sottolineando la dimensione della rinascita, della vita che prende il sopravvento sulla violenza. Da strumenti destinati alla morte, diventano ora luogo di accoglienza della vita. Forte appare il messaggio. Se la terra è il materiale originario dell’uomo, dalla terra dobbiamo ripartire, per ridare alla creazione bellezza e dignità. Se Silvia Hell con il lavoro Che cosa accade quando si dice: «Ecco, ho un’idea?» realizza una scultura a parete in alluminio e ottone, attraverso una raffinata elaborazione concettuale – l’idea non è forse all’origine di ogni creazione? – l’autrice giapponese Asako Hishiki, con Il ritmo trasparente, riflette sulla relazione tra Idea-Creatore-Spettatore. L’opera di Alex Bombardieri, Seed, è una riflessione sulla fecondità della natura. Consiste in una scultura marmorea che raffigura la sàmara (seme) di una pianta, l’acero montano, l’Acer pseudoplatanus: un piccolo seme, da cui nascerà un grande albero, è così esaltato e magnificato. Il video di Nicola Fornoni, Prometheus, è invece una riflessione sulla capacità dell’uomo di pensare nuove tecnologie applicate alla medicina. Così, nel XX secolo, grazie alla conoscenza del meccanismo del corpo umano, nuove protesi hanno permesso di superare difficoltà prima insormontabili, restituendo capacità di movimento. Il video del giovane autore vuole lanciare un messaggio pieno di speranza. La tecnologia, se usata nel migliore dei modi, può costituire una grandissima risorsa per l’umanità. Se infine il dipinto Nazarena Poli Maramotti interpreta con Senza Titolo (Adamo ed Eva) la celebre opera di Albrecht Dürer, rappresentante Adamo ed Eva, in una ricerca delle origini dell’umanità, Giulio Cassanelli, con Geometria differenziale, realizza un’opera in cera, poi fusa in bronzo di una costola umana, posta su di un piedistallo e associata a un dittico di fotografie, riproducenti il close up di due pance, una femminile e un’altra maschile. Entrambe sono prive di ombelico. Adamo ed Eva non sono forse stati creati direttamente da Dio?

Galleria San Fedele – Fondazione Culturale San Fedele, via Hoepli, 3/b, Milano; info: www.sanfedele.net

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