«L’unico mezzo con cui possiamo preservare la natura è la cultura». Così afferma Wendell Berry, romanziere statunitense, poeta, attivista ambientale e agricoltore. Con questa piccola frase è evidente come l’uomo si deve rapportare con l’ambiente in cui è ospite. Eppure nonostante le numerose tragedie ecologiche, la specie che si ritiene padrona del mondo, è senz’altro destinata all’estinzione se non cambia rapidamente atteggiamento. Nel suo piccolo il sistema arte è sempre più sensibile all’argomento con mostre, approfondimenti e concrete critiche al difficile rapporto uomo e pianeta Terra. Molte le terminologie che entrano in gioco e ognuna con un sua precisa definizione ma legate da un unico comune denominatore, il paesaggio. Ciò che rende tutto più complesso è in effetti la sua stessa definizione. Anche se ufficialmente il comitato dei ministri della cultura e dell’ambiente del Consiglio d’Europa ha sottoscritto la Convenzioe europea del paesaggio, nello splendido Salone dei cinquecento di palazzo Vecchio a Firenze, il 20 ottobre 2000, lo definisce come «Una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni», in realtà nascono ugualmente delle perplessità. Infatti la traduzione italiana, riporta un’incongruenza con la versione originale. La precisazione «parte di territorio» non risulta nella versione inglese, «landscape means an area, as perceived», mentre in quella francese «une partie de territoire» la determinazione avviene tramite la percezione della popolazione, come sottolineato in seguito.
Determinare per definizione un territorio non ha senso, perché secondo la Convenzione stessa tutto il territorio è paesaggio. L’errore italiano è probabilmente ereditato dalle vecchie leggi ambientali. Fatto sta che se lo stesso concetto base è in discussione come sarà possibile interpretarlo nella sfera artistica? È sicuramente importante capire come sia basilare una conoscenza approfondita in ambito geografico per capire e interpretare un’opera d’arte. Sono in primis gli artisti a studiare ed entrare a pieno nel concetto geografico di mondo per tradurlo poi attraverso i loro occhi e indagare il complesso rapporto fra arte contemporanea e natura. Oggi un po’di ordine e di dibattito sull’argomento è messo in luce da alcune delle più importanti realtà nazionali. Un primo esempio lo possiamo osservare al Mag, museo alto garda di Riva del Garda, con Aeronatura, lo sguardo di Tullio Pericoli sul paesaggio dell’Alto Garda, attiva fino al 2 novembre. Una location che presenta spesso interessanti focus dedicati al mondo del paesaggio. Pericoli nasce a Colli del Tronto nel 1936, pubblicare i suoi disegni su Linus, il Corriere della sera e L’Espresso. Realizza i disegni per l’edizione del volume Robinson Crusoe di Olivetti. Nel 1984 collabora con La Repubblica. A bordo di un aereo da turismo, l’artista, ha sorvolato, in una mattina di fine novembre 2013, il territorio dell’Alto Garda, con l’intento di cogliere, per la prima volta dal cielo, la forma che il paesaggio gli avrebbe potuto restituire da quel particolare punto di vista. Durante il volo sono state scattate numerose fotografie dall’artista stesso e dal fotografo Pierluigi Cattani Faggion. Attraverso l’intima suggestione aerea, Pericoli, nei mesi successivi, ha creato un ciclo di tavole, circa sessanta opere su carta di diverse dimensioni e tecniche come ad olio, acquerello e matita. È evidente il neologismo in Areonatura, dove si racconta un’esperienza eccezionale per meglio decifrare la forma di quel particolare ambiente.
Anche il Mart, il museo di Trento e Rovereto, ha dedicato diverse esposizioni e tra le ultime Perduti nel paesaggio, aperta fino 31 agosto, dove a cura di Gerardo Mosquera, il tema è affrontato attraverso le opere di oltre 60 artisti provenienti da tutto il mondo, molti dei quali mai presentati in Italia. Oltre 170 fotografie, 84 opere pittoriche, 10 video, un progetto web specific di Simon Faithful, quattro installazioni, quattro video-installazioni, un libro d’artista di Ed Ruscha e quattro interventi context specific: tre interni di Takahiro Iwasaki, Glexis Novoa, Cristina Lucas e uno esterno di Gonzalo Diaz. Numeri mai visti prima per un argomento così complesso, difficile da concretizzare e chiudere in un museo. Ma non finisce qui, la ricerca continua con una seconda esposizione: Scenario di terra a cura di Veronica Caciolli, Daniela Ferrari, Denis Isaia, Paola Pettenella e Alessandra Tiddia. Presentata fino al 8 febbraio, si sviluppa secondo diverse angolazioni che mescolano e confrontano linguaggi artistici e periodi della storia dell’arte moderna e contemporanea in un suggestivo allestimento studiato dall’architetto Giovanni Maria Filindeu. Inoltre nel giardino del Mart è permanente il Parco delle sculture, dove in diretto contatto con l’ambiente sono esposte maestose opere che vivono il difficile rapporto con gli agenti atmosferici anche se in stretta armonia con l’esterno. Tra queste Scultura H, la grande clavicola di Fausto Melotti, esposta alla Biennale di Venezia del 1972 e ora stabile nella città natale dell’artista.
E parlando di opere a diretto contatto con il paesaggio come possiamo non ricordare una delle più estese al mondo? Il Cretto di Gibellina di Alberto Burri realizzato tra 1984 ed il 1989 nella città vecchia di Gibellina, andata completamente distrutta dal terremoto del 1968, infatti la Gibellina Nuova è stata ricostruita a quasi 20 Km di distanza. Resti ancora visibili, in parte sotto il gigantesco monumento della morte che ripercorre le vie e vicoli della vecchia città. Sorge nello stesso luogo dove una volta vi erano le macerie, poi cementificate dall’opera. Vista dall’alto appare come una serie di fratture sul terreno, un congelamento della memoria storica di un paese.
Il paesaggio è ora mai sempre più protagonista nelle mostre contemporanee e anche Studio la Città di Verona, concentra le sue forze in De rerum natura, una collettiva curata da Angela Madesani con la collaborazione di Andrea Lerda. Lo scopo indagare il complesso rapporto fra uomo-ambiente-natura attraverso una quindicina di artisti italiani e non, appartenenti a diverse generazioni. Uno sguardo preciso e attento che segue alcune possibili declinazioni: natura naturans come oggetto e soggetto dell’arte attraverso la sua presentazione diretta, natura come entità portatrice di una sacralità laica e natura etica ed ecologia.
Se osserviamo l’argomento a livello mondiale tra i più grandi rappresentanti italiani c’è senza dubbio Giuseppe Penone, presente fino al 5 ottobre nel territorio fiorentino con Prospettiva vegetale. Un grande progetto espositivo inedito ideato da Sergio Risaliti e curato da Arabella Natalini e Sergio Risaliti, dedicato all’artista dopo i successi nei giardini della Reggia di Versailles e l’installazione delle opere permanenti alla Venaria di Torino. Penone si confronta ora con il parco storico di Boboli e con Forte di Belvedere, restituito al pubblico lo scorso anno dopo una lunga chiusura. Dobbiamo riuscire ad interagire con il paesaggio in modo universale, non limitandoci al nostro pianeta. A questo ci ha pensato la fondazione Nicola Trussardi durante il Miart di quest’anno presentando Cine dreams. All’interno del Planetario di Milano Hoelphi in tre serate sono state proiettate video installazioni studiate ad hoc per planetari. La prima, ad esempio, l’opera di Stan VanDerBeek, Cine dreams, che ha dato il titolo all’intera rassegna, un lavoro dell’artista statunitense nato a New York nel 1927 e morto a Baltimora nel 1984. È famoso fin dagli inizi della sua carriera per la ricerca pionieristica nel cinema e nell’animazione sperimentale. In questa occasione riproposto per la prima volta in assoluto nella versione originale presentato nel 1972 a New York. L’opera consiste nella proiezione simultanea di 20 film sulla volta del planetario, sulla quale scorrono anche quelle della calotta celeste. Un vero Big Bang di forme, suoni e colori che mescola scienza e psichedelia, spettacolo e critica della società delle immagini e per questo spesso interpretato come una premonizione di Internet e della cultura digitale. Il tutto dalle dalle 22.00 alle 6.00 del mattino. Gli spettatori erano invitati a portare cuscini, coperte e passare la notte sotto la cupola del planetario come nella presentazione originale. Un vero e proprio cinema della mente come lo definiva l’autore stesso, un’eccezionale esperienza dove sonnecchiare, guardando il film in dormiveglia o a occhi chiusi, così da esplorare lo stato individuale e inconscio del sogno in un contesto collettivo e di gruppo.
Degli Stati Uniti è anche Nick van Woert al Mambo di Bologna con una sua personale fino al 7 settembre, la prima esposizione in Italia e all’interno di un’istituzione museale. La mostra, curata da Gianfranco Maraniello, rende visibili al pubblico 33 opere rappresentative delle tematiche ricorrenti nel lavoro dell’artista, come la dialettica tra ambiente artefatto dalla pervasiva presenza umana e natura governata dal caso. Uno studio che nasce dalle stesse origini di Nick, cresciuto a Reno, Nevada, città in contrasto tra le architetture fantasmagoriche del gioco d’azzardo e la rude realtà del deserto circostante. A nord della nostra penisola, il Kunst di Merano si dedica all’argomento con Alpi, luoghi da sogno, proiezioni e progetti utopici nelle Alpi. A partire dalla riscoperta delle Alpi nel XVII secolo, passando per il processo della loro conquista ad opera della civilizzazione urbana, il rapporto tra uomo e natura ha subito un sostanziale mutamento. Da un sentimento originario di rispetto e ammirazione nei confronti della maestosità delle montagne si è rapidamente passati allo sfruttamento sfrenato da parte del turismo alpino di massa e alla commercializzazione sconfinata della loro immagine.
Fino al 9 settembre e a cura di Susanne Stacher, presentati 22 progetti esemplari di architettura alpina degli ultimi 100 anni. Alcuni realizzati, altri solo idee rimaste sulla carta. Molti assumono per la prima volta una forma tridimensionale che si basa unicamente sulla libera interpretazione dei disegni degli architetti. La selezione comprende tra l’altro la colonia naturista del Monte Verità, progetti di sanatori, alberghi e stazioni di funivia ideati da Henry Jacques Le Même, Adolf Loos, Franz Baumann, Gio Ponti, Charlotte Perriand con Jean Prouvé, e il bivacco progettato da Ross Lovegrove.