La Biennale di Berlino

Berlino

Si è conclusa ieri l’ottava Biennale di Berlino. L’edizione di quest’anno, curata da Juan Gaitán con l’aiuto di un team artistico formato di nomi illustri tra i quali Natasha Ginwala, Dahn Vo, Olaf Nicolai e Catalina Lozano, solo per citarne alcuni, è stato un grande successo di pubblico e critica. Per più di due mesi nelle tre sedi scelte per ospitare la rassegna – Haus am Waldsee, Museen Dahlem, KW Institut for contemporary art (e Crash Pad) – è stato possibile ammirare le opere di circa cinquanta artisti con provenienze, nazionalità, stili, tecniche e linguaggi diversi, ma accomunati da un unico tema ricorrente: il rapporto dell’uomo con la narrativa storica, da considerarsi sia come simbolo identitario sia come strumento di rappresentazione.
L’ispirazione per il tema dell’ottava biennale Gaitán l’ha trovata proprio nella città di Berlino, epicentro nevralgico e nostalgico degli avvenimenti che hanno cambiato l’assetto mondiale nel XX secolo. Accettando l’incarico di allestire la Biennale di Berlino, il curatore scelto è tenuto a risiedere per un periodo di tempo limitato nella capitale tedesca; ciò comporta inevitabilmente un’esplorazione approfondita e talvolta intima delle sue peculiarità e dei suoi cambiamenti. Il successo ottenuto da questa Biennale risiede proprio nella capacità di Gaitan di dialogare con la città, considerata non solamente ospite di una delle rassegne artistiche più importanti d’Europa, ma, al contrario, partecipe attiva di un nuovo modo di concepire e trasmettere l’arte e la sua fruizione. La scelta di estendere la Biennale al di fuori di Mitte, e cioè a Dahlem, periferia sud-ovest della città, può essere considerata come proseguimento e reinterpretazione dell’idea di ecomuseo introdotta ad inizio anni ’70 da Hugues de Varine, ovvero un’istituzione che si fonda sull’interrelazione tra patrimonio artistico-culturale, territorio e comunità.

Gran parte delle opere sono state concepite in diretta connessione con il luogo di allestimento, come nel caso del museo etnologico di Dahlem, dove molti lavori sono diventati quasi parte integrante della collezione permanente ed esibiti al fianco di reperti storici appartenenti alle più diverse culture. You have time to show yourself before other eyes di Mariana Castillo Deball, ad esempio, consisteva in un’installazione di sculture, oggetti, disegni e stampe frutto di uno studio sulla sezione di archeologia mesoamericana del museo ed è supportata dalla neonata rivista Ixiptla, frutto di pubblicazioni e testi riguardanti l’origine e la storia di numerosi oggetti storico artistici, che hanno avuto e hanno tuttora un ruolo fondamentale nella caratterizzazione delle diverse culture del mondo. Un ulteriore confronto con la storia, seppur concepito in maniera molto diversa, lo si ritrova in Lexicon, progetto ancora in corso dell’egiziana Iman Nissa. L’artista ha creato remake di opere d’arte esistenti, concettualizzate tramite video, sculture, fotografie o registrazioni audio e accompagnate da piccoli pannelli descrittivi delle opere originali alle quali rimandano.
Wolfgang Tillmans è stato sicuramente uno degli artisti di spicco di quest’ottava edizione, alla quale ha contribuito con uno studio basato sulle diverse maniere di rappresentazione della realtà tramite l’isolamento o il raggruppamento di immagini e fotografie, che sembrano trasmettere diversi messaggi a seconda del loro allestimento e collocazione all’interno della spazio espositivo. The grave step del sudafricano Kemang Wa Lehulere può forse essere considerata la grande sorpresa, nonché la pietra miliare dell’edizione. Al di là delle dimensioni, che la portano all’inevitabile associazione con Guernica di Picasso, la creazione di Wa Lehulere è una rappresentazione onnicomprensiva delle tematiche principali della rassegna: si tratta di un iconico lavoro a gessetto bianco su lavagna nera che vede l’intrecciarsi di storie, personaggi, testi e simboli, riflesso di quella dimensione identitaria, storica e mnemonica, che è servito appunto da fonte d’ispirazione e tratto d’unione per gli artisti partecipanti alla rassegna.

Rispondendo alla richiesta di Gaitán di indagare il rapporto tra narrativa storica e individuo, gli artisti partecipanti hanno realizzato una moltitudine di opere d’arte molto diverse tra loro che rispecchiano proprio le numerose realtà e individualità su cui si fonda la nostra civiltà. La pluralità di prospettive e confronti diventa perciò prerogativa e caratterizzazione non più della storia, ma delle diverse storie, che in forma di opere d’arte contribuiscono alla definizione di quella collettività molteplice e differenziata che arricchisce intellettualmente e culturalmente il mondo contemporaneo.
Un ricco calendario di eventi e dibattiti ha tenuto vivo l’interesse di un pubblico quanto più vasto e variegato, a partire proprio dalla serata inaugurale della Biennale che ha visto la presentazione di theTomorrow, una piattaforma online nata da un’idea di Stefano Boeri e Pierpaolo Tamburelli e che mira a trasformare l’Europa in una città policentrica e multifunzionale grazie a un dialogo e a un confronto continuo tra le diverse realtà artistiche e culturali che ne fanno parte. Numerosi sono stati anche gli eventi musicali, le Dahlem Session, realizzate in collaborazione con la collezione di strumenti musicali di Dahlem, le presentazioni di progetti video e di nuove pubblicazioni, così come i forum di discussione e dialogo che hanno visto nella maggior parte dei casi la partecipazione attiva non solo di grandi personalità del mondo culturale mondiale come Tisha Mukarji, Romana Schmalisch o Sarnah Banerjee per citarne alcuni, ma anche degli artisti stessi e del del curatore Gaitán.

Occorre quindi, ancora una volta, lodare proprio il talento di Gaitán, che ha saputo trovare più di un punto d’incontro con la città, il pubblico e gli stessi artisti, e ha realizzato, grazie anche all’aiuto del team di collaboratori, un’edizione della Biennale armonica, dinamica e stimolante, basata su una nuova idea di storia che vede nell’individualità e nell’unicità delle esperienze un mezzo fondamentale per la costituzione di una memoria collettiva cosmopolita.