L’artista, lo spettatore, l’opera: tre ruoli, tre punti di vista, tre essenze che si relazionano fra loro. Cosa accade quando viene a mancare uno di questi elementi? Potrebbe crollare tutta la costruzione, ma l’assenza, la constatazione di un senso incompiuto, a volte sono più forti di una presenza. Tre artisti slovacchi, András Cséfalvay, Ilona Németh e Zuzana Žabková, sono protagonisti della mostra On The Stage, che si svolge negli spazi di The Gallery Apart a cura di Lýdia Pribišová. Nei lavori di questi artisti, il contenuto, l’opera, sono soggetto che diventa qualcosa di sfuggente e non del tutto realizzato. Entrando in galleria ci si trova di fronte a tre poetiche creazioni di Zuzana Žabková in cui si relazionano silenzio, rumore e musica. Nel video Small Odyssey II i tasti del pianoforte suonati non emettono musica, ma si sente solo il rumore della pigiatura delle dita che fa assurgere un sentimento straniante derivante da una impossibilità nella ricerca di compimento dell’opera. Appesi alla parete contenitori per gioielli da cui fuoriescono cotton fioc e su di un tavolo spartiti musicali. Gli spartiti sono di una sonata di Bach, ad alcuni sono state cancellate le note, ad altri sono stati tolti solo gli estremi delle note e in uno è stata ricreata, attraverso chiodini e fili, la pianta di una delle chiese dove è avvenuta l’esecuzione di quella sonata da parte di Bach. Tutto ciò a voler sottolineare un silenzio, una impossibilità musicale, in contrapposizione con i cotton fioc, utilizzati per sentire meglio – di alcuni cotton fioc rimane solo la parte centrale a ribadire comunque una impossibilità.
Sulla parete laterale rispetto all’entrata della galleria, l’installazione site specific Auditorium/Hľadisko di Ilona Németh, che consiste in una gradinata per spettacoli, gradinata posizionata molto vicino al muro su cui è proiettata l’immagine della stessa gradinata frontalmente rispetto alla costruzione. Cosa manca? Lo spazio per il palcoscenico, quindi il luogo dell’azione e dell’opera. I significati legati a questo lavoro e a questa mancanza sono diversi: la carenza di contenuto perché non si può avere lo spettacolo, non c’è lo spazio sufficiente, ciò richiama la carenza, l’impossibilità di comunicazione fra spettatore, opera e artista; l’impasse in cui ci troviamo noi cittadini di fronte alla crisi politica ed economica che stiamo attraversando in questi anni; l’impossibilità di realizzare i nostri desideri.
E questa impossibilità di realizzare i nostri desideri si ritrova nella videoinstallazione a tre canali Maquette/Maketa di András Cséfalvay esposta nella sala al piano di sotto. Le proiezioni laterali di palchi teatrali vuoti creano un’atmosfera e un’ambientazione quasi surreali il cui significato si rivela nella proiezione centrale: qui l’artista racconta se stesso e il suo rapporto con le sue creazioni, anche con una certa ironia. Racconta dell’impossibilità di compiere la sua opera per il teatro, i passi che vorrebbe fare, il suo fallimento e la sua mancanza, il senso di perdita. Ciò rivela uno status, una condizione che da passeggera diventa permanente. Le proiezioni laterali fanno da contraltare, nella loro immobilità e nella loro cupezza, a una situazione di carenza reiterata. L’artista espone sé ed il suo lavoro con semplicità, emozione e coinvolgimento. Le sue parole, il suo volto che narra le sue ragioni, sono alternati alla musica della sua opera incompiuta.
Fino 18 settembre 2014
The Gallery Apart via Francesco Negri 43, Roma.
Info: www.thegalleryapart.it