Mother – rythm

Francesca Fini è un’artista che lavora con le performance, i video e i new media. Nella sua personale Mother – rythm alla Mondrian Suite Contemporaryartspace di Roma, a cura di Lori Adragna, che si svolge dal 27al 29 giugno, l’artista affronta il rapporto con la madre da vari punti di vista e lo fa attraverso performance, video e installazioni. Ma perché scegliere il titolo Mother- rythm? Perché la parola Mother letta al contrario ha lo stesso suono di Rythm. Fini spiega: «La specularità incantevole di queste due parole allude alla natura stessa del ruolo materno e di tutto ciò che rientra nella sfera più ampia del concetto di femminilità. Il ritmo è una scansione del tempo secondo un modello ciclico. Il ritmo è la goccia che cade verticale, l’avvicendarsi di vita e morte nello schema ineluttabile della natura, è il battito del nostro cuore, ma è anche quella spirale che si allunga come una stella filante verso il vuoto, che è l’unico modo con cui potrei descrivere la storia umana, se mai dovessi rappresentarla visivamente – e continua – affido alla maschera tribale fatta di cartone, che è uno degli oggetti fondamentali del video Mother-rythm, il ruolo di approfondire ciò. Questa maschera è un oggetto che riversa la natura ancestrale della maternità nei segni di un immaginario dinamico, cinematografico e moderno, rappresentato dall’elemento mutevole della parte inferiore della maschera, che fissa in una serie di fotogrammi la parola mother e, al contrario, rythm. La donna/madre è una creatura che segue il ritmo, lo vive nelle viscere, lo asseconda, ne accetta saggiamente le inevitabili conseguenze».

A questo punto della sua vita Fini ha deciso di dedicare alla madre il progetto perché dichiara di essere riuscita a superare tutti i possibili disturbi, le nervosi, statisticamente legati al rapporto conflittuale con la figura materna: dall’anoressia all’autolesionismo, creando attraverso il lavoro artistico una catarsi intima. Fini è partita da un trolley pieno di fotografie che la madre ha conservato con cura; di Francesca come persona rimangono pochissime immagini, mentre Francesca come artista ha catalogato tutti i suoi progetti con cura, Fini commenta: «Forse perché lei, l’artista, è – per molti versi – la mia creatura, o io sono oramai la sua». Nell’installazione fotografica I was there (Io ero lì) si vedono fotomontaggi in cui la madre è affianco a Francesca negli stessi periodi di vita, per esempio l’adolescenza, perché «Ero lì ancor prima di essere un’idea nella sua testa, perché le circostanze, le coincidenze, le congiunture, le opportunità e gli incidenti della vita che hanno portato mia madre lì, in quel preciso momento, sono le stesse circostanze che hanno fatto in modo che piano piano lei arrivasse a me. Attraverso il digitale ho orchestrato questo incontro impossibile in cui spazio e tempo si flettono in una dimensione ideale. Ed è in questo incontro impossibile che avviene il superamento del conflitto», dalle parole di Fini.

Le videoinstallazioni Non guardare, Non toccare alludono a divieti dell’infanzia che il bambino percepisce al contrario perché «Il nostro inconscio non riconosce la negazione. Le videoinstallazioni, partendo da un oggetto simbolico, ne estendono e ne elaborano il significato, fino talvolta ad arrivare a ribaltarlo» come dice l’artista. In particolare in Non toccare Fini scrive con una macchina da scrivere anni ’60 in cui i tasti sono diventati chiodi, scrive finché si vanno a creare delle ferite sui polpastrelli. Il testo che accompagna l’installazione riporta parole vissute come incidenti di percorso, l’artista spiega: «La parola è negata, perché la mia memoria non ricorda le lettere sui tasti coperti dai chiodi. La mia scrittura è quindi muta, articolata nel sangue e nel dolore». Ad aprire la mostra è il documentario creativo Mother – rythm, da cui prende il titolo l’intero progetto, e che racconta con un linguaggio ibrido la storia di un rapporto di cui rimangono ricordi e parole, un linguaggio evocativo, surreale e simbolico, che unisce performance, voice over, repertorio fotografico rielaborato in digitale e una musica romantica.

All’inizio un teatrino sta a dichiarare che ciò che si vedrà è una messa in scena. A un certo punto una figura bianca, l’utopia umana e materna, dipinge delle uova con l’oro, uova che rappresentano le illusioni, i sogni, i figli, e che nonostante la premura e l’apprensione si rompono comunque. Poi compare una torta: sulla pasta da zucchero è stampata una foto della madre dell’artista; l’artista mangia la torta fino a far rimanere solo il sorriso materno nella foto perché è come se Fini mangiasse sua madre. L’intero video è un percorso di «Riconoscimento dei sacrifici, dell’amore, della totale dedizione di mia madre, sebbene abbia passato gran parte della vita a ignorare e a rifiutare questo pensiero», come ricorda Francesca. La primissima installazione dell’esposizione è rappresentata da un percorso in cui vengono elencate le maledizioni in ordine alfabetico: «Ho usato il termine maledizioni per indicare ciò che mia madre mi ha trasmesso, nel bene e nel male. Sono come incantesimi che si depositano dentro di te, si sedimentano nel tempo e condizionano il tuo rapporto con l’esistente», come dichiara l’artista.

Essenziale la relazione con l’inconscio, perché moltissime delle situazioni e delle immagini dei video di Fini nascono dai suoi sogni, sogni di cui comprende il significato solo dopo averli rielaborati e riversati nei progetti, e solo, ancora dopo, mettendosi dalla parte dello spettatore si accorge che tutto collima e ha un senso. Si apre un quesito che coinvolge l’intera mostra Mother – rythm: dialogo o conflitto nel rapporto con la madre? A questa domanda risponde Fini: «Il dialogo è sempre stato presente, perché è l’altra faccia del conflitto. Anche nel conflitto c’è comunicazione. La non-comunicazione implica un totale disinteresse reciproco, un non riconoscimento dell’essenza dell’altro, e questo non potrà mai avvenire tra me e mia madre». All’inaugurazione di Mother – rythm sarà eseguita una performance.

Dal 27 al 29 giugno; Mondrian suite contemporaryartspace,  via dei Piceni 39/41/43, Roma; info:www.francescafini.com