Nikita Kadan a Viafarini

«La politica fa parte della storia dell’arte come un dato impossibile da aggirare», diceva Georges Didi-Huberman in un’intervista. In maniera simile deve pensarla Nikita Kadan. Giovane schierato e convincente, Nikita Kadan, nato a Kiev nel 1982, si presenta, negli spazi di Viafarini Docva, con la mostra Everybody wants to live by the sea curata da Silvia Franceschini.

Ad aprire l’inaugurazione un lungo talk in cui l’artista ucraino presenta al pubblico la sua ricerca artistica, sociale e politica. Attivo sin dal 2004, come membro del gruppo R.e.p. (Revolutionary experimental space) e co-fondatore del gruppo di attivismo e curatela Hurada, ha alle spalle numerose esposizioni e progetti volti ad indagare il complesso panorama del suo paese. Con tranquillità e fermezza racconta al pubblico la sua realtà; una realtà parallela fatta di soprusi, violenze e di molta omertà. A sostenere incisivamente le sue denunce sono i suoi lavori, a volte didascalici e diretti, altre più concettuali e astratti, Nikita non si serve mai di un solo medium per esprimere la multiforme realtà che lo circonda, ma li usa tutti: dal disegno, alla pittura, dalla scultura alle installazioni fino a vere e proprie operazioni di arte pubblica.

La sua non suona come una semplice denuncia vuole proporsi come una chiamata all’azione e alla cooperazione. Colpiscono per incisività e riuscita i lavori Procedure room (2009-2010) e Pedestal. Practice of exclusion (2009-2011). Everybody wants to live by the sea è una mostra che compie un’analisi sul territorio della Crimea, un’analisi volta a raccontarne la storia, i fantasmi e le tragiche realtà del suo presente. Questo territorio, da sempre oggetto di contrasti, è stato il palcoscenico della drammatica vicenda che ha coinvolto la popolazione dei Tatari deportata nel 1944 sotto il regime di Stalin e tuttora ancora osteggiata ed esclusa dalla nuova Crimea. Sulle pareti alcune fotografie, raffiguranti le precarie abitazioni dei Tatari, vengono modificate dall’artista con disegni geometrici e futuristi, che se da un lato sembrano offrire riparo e protezione ai fragili insediamenti, dall’altro li opprimono con la loro prepotenza. Nelle teche sono invece raccolti una serie di documenti (dal 1960 al 1980) tra i quali cartoline, opuscoli e fotografie che pubblicizzano ed esaltano la Crimea come ambita meta turistica dell’unione sovietica.

A sovrastare lo spazio un neon che profila la Crimea, questa terra di tutti e di nessuno, manipolata dalle continue oscillazioni di sfere d’influenza opposte che ne dilaniano il territorio e lo spirito.

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