«In Italia ci sono pensioni da ottocento euro al mese; Pompei cade a pezzi; la giovane arte italiana è ormai inesistente all’estero, proprio grazie ai mandarini del sistema dell’arte italiano che promuovono solo se stessi; il direttore della galleria degli Uffizi di Firenze guadagna 1.890 euro al mese e a Firenze le sale dello stesso museo non sono adeguatamente deumidificate. Per assenza di fondi». Una critica pesante quella di Demetrio Paparoni, venuta fuori in seguito alla notizia del super compenso di Germano Celant per la mostra Art & food all’interno del contesto di Expo 2015 che ancora non era sazio di polemiche. E in effetti 750mila euro per la curatela e la direzione artistica della mostra non sono pochi e hanno fatto storcere il naso non solo a Paparoni ma anche ad altri colleghi critici molto noti, da Daverio a Sgarbi. Ma Celant replica: «La cifra è lorda e comprende tutto il mio staff». Art & food durerà sette mesi, uno in più di Expo, occuperà tutti gli spazi della Triennale di Milano e racconterà la storia del cibo attraverso l’arte. «Non ho sensi di colpa per quel compenso, ognuno giudicherà in base ai risultati – afferma il maestro dell’arte Povera – in quella cifra è compreso lo staff che lavora con me, una decina di assistenti e ricercatori, tutti i viaggi che stiamo facendo per poterci assicurare le opere che vogliamo, la ricerca storica e iconografica, le tasse». La mostra, ovviamente, ha un costo a parte: 5 milioni e 300mila euro. Cifre troppo grandi anche per il mondo dell’arte che fanno perdere completamente di vista il senso della realtà e del momento critico che stiamo vivendo. A conclusione di questa vicenda, Celant ironizza: «Non ho ancora fatto i conti, ma alla fine mi resteranno giusto 120mila euro lordi per tre anni di lavoro, con la speranza di non rimetterci».