Opposti a Shanghai

Tre giovani artisti italiani e soli due mesi per realizzare un progetto creativo. Questo l’obiettivo del Premio Shanghai che, giunto alla sua seconda edizione, ha offerto ai vincitori, Chiara Principe, Elisa Strinna e Alessandro Dandini de Sylva la possibilità di trascorrere un periodo nella metropoli cinese, nella east China normal University che ha messo a loro disposizione un intero atelier nel campo universitario.

In un tempo molto ridotto, gli artisti si sono quindi trovati a doversi confrontare con una realtà pressoché sconosciuta e molto differente da quella occidentale, e a fare un lavoro non solo manuale ma anche di ricerca sul tessuto sociale e storico di un paese, per trovare possibili punti di incontro e di contaminazione tra due culture distanti anni luce tra loro. Dalle dicotomie rintracciate, è nata Opposti, la mostra che fino al 17 maggio sarà ospitata al Bund Art Center di Shanghai, un centro espositivo privato nell’omonimo quartiere del Bund, con vista sullo skyline della città, messo a disposizione dell’università per l’occasione.

«Il titolo siamo stati noi a sceglierlo», afferma Chiara Principe. Sì, perché, oltre a essere artisti, i tre ragazzi hanno anche realizzato autonomamente tutto il lavoro di organizzazione della mostra, cimentandosi nel ruolo di curatori di se stessi. Il risultato ottenuto offre spunti e chiavi di interpretazione interessanti, che pongono al centro della riflessione l’identità culturale orientale, vista attraverso gli occhi di tre artisti occidentali che, spostandosi fisicamente sul posto, hanno avuto l’opportunità di conoscere da vicino le tracce che la Cina contemporanea porta della sua tradizione antica, arrivando a studiare le trasformazioni che hanno intaccato l’identità storica di un popolo e di una nazione. I lavori di ogni artista, difatti, mettono in luce la sottile linea di confine che c’è tra due culture apparentemente in radicale opposizione, ma tra le quali è possibile rintracciare una progressiva contaminazione.

Chiara Principe, formatasi alla Nuova Accademia di Belle arti di Milano, nonostante sia la più giovane dei tre (nata nel 1992), ha già sviluppato nei suoi anni di ricerca artistica un filo conduttore: quello del linguaggio. L’interesse per la semiotica l’ha condotta a esplorare le radici linguistiche di altre culture, in particolare quella indiana e quella cinese, con cui si era già confrontata. Dall’interesse non solo concettuale ma anche grafico per l’ideogramma ha realizzato l’installazione Il saggio non accumula che, ispirandosi all’ultima parte del Tao te Ching di Lao Tzu, ne decostruisce i segni grafici attraverso l’uso di tegole (fatte fare appositamente dalla manodopera del posto), privandoli del loro significato, ma lasciandoli pur sempre parzialmente riconoscibili. Oltre a rappresentare una riflessione linguistica, l’installazione sottende una riflessione sul concetto di accumulo nell’era della globalizzazione che ha investito anche un paese dalle tradizioni antiche come la Cina. Elisa Strinna, nata a Padova nel 1982, scultrice e video-maker, ha invece giocato nella sua opera Le mutevoli nature dell’identico sul rapporto tra natura e artificio, antichità e modernità, riproducendo con il silicone animali e piante dell’iconografia cinese, facendoli diventare simulacri dello sviluppo contemporaneo della Cina. In ultimo Alessandro Dandini de Sylva, classe ’81, fotografo, in Cancellazioni del paesaggio si è concentrato sulle contraddizioni della realtà cinese che si riflettono sul paesaggio, andando a cercare in esso tutte le possibili tracce di potere e di controllo.

Tre diverse prospettive d’analisi che, attraverso l’uso di pochi elementi, sono riuscite a dare una visione soggettiva ma al contempo universalmente condivisa della complessità di una cultura che racchiude in sé secoli di storia che non si possono di certo riassumere in due mesi. Due mesi che hanno richiesto oltre che una spiccata creatività, uno studio intenso della realtà che li ha ospitati e, come ha confessato Chiara Principe, «ci sarebbe voluto molto più tempo».

Fino al 17 maggio, Bund 33 Art Center, 33 Sichuan Zhong Lu, Shanghai.

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