Non esisteva luogo migliore per raccontare la figura complessa di un artista come Chen Zhen che, nato a Shanghai nel 1955, ha trascorso gran parte della sua vita in Francia, a Parigi. Emanuel Perrotin lo sa, ed è stato proprio lui a sollevare la richiesta di poter ospitare un’importante retrospettiva a Parigi dell’artista nelle sale della sua galleria francese, riportando la sua memoria nella città in cui nel 2000 è deceduto. Ma la Galerie Perrotin non ha fatto tutto da sola, l’ambiziosa iniziativa è il risultato di una collaborazione coraggiosa con la Galleria Continua (San Gimignano, Beijing, Les Moulins) che segue in esclusiva l’archivio dell’artista oltre a rappresentare Zhen da diversi anni. Dagli stessi obiettivi e da un desiderio condiviso di dare spazio a una figura artistica culturalmente significativa, è nato il progetto inaugurato il 27 aprile con la mostra Fragments d’éternité, che non è solo un’antologica, ma una ricostruzione quasi “filologica” delle opere di Chen Zhen, artista eclettico e di ampie vedute. Senza digressioni o divagazioni è quindi stato riunito un corpus di opere che non sono organizzate da un punto di vista cronologico, ma che dialogano con lo spazio in maniera armonica e, seguendo un sottile filo di connessione, creano un dialogo continuo tra le sue radici orientali e la sua formazione occidentale. Un occidente che non è mai stato per lui circoscritto, ma che è metafora di libertà e quindi rappresenta una necessità culturale: «Se ho lasciato la Cina, non è stato per confinarmi in un altro paese o in un’altra terra; l’ho lasciata per abbracciare il mondo intero».
Lo studio e la ricerca, fonte inesauribile della sua espressione artistica – che riassume la sua natura creativa, caratterizzata da un’anima umile e modesta – sono testimoniati dai numerosi disegni e bozzetti esposti, emblema di un’estetica e di una progettazione originale e di una riflessione concettuale accurata sulle dinamiche sociali e politiche della realtà cinese in relazione con quella universale. Molti dei suoi lavori ruotano inoltre intorno a temi di ampio respiro, come i rapporti tra l’uomo, la società dei consumi e la natura, altri, più intimi, provengono dal suo desiderio di analizzare le radici dell’animo umano. A tal riprova il titolo della mostra parigina è una sintesi della sua poetica delle piccole cose, che l’ha portato a raccogliere, nel corso della sua vita, oggetti d’uso comune, facendoli suoi e ricontestualizzandoli in uno spazio diverso da quello originale, in cui si dispongono come frammenti di un’eternità apolide e atemporale, sospesi, non solo concettualmente ma anche fisicamente. Sedie, tamburi, casette fluttuanti sono portatori di un messaggio universale. Come tutti gli artisti che percorrono il sottile confine transculturale, Chen Zhen opera in uno spazio liminale dinamico e sinergico, attingendo dal tessuto ideologico internazionale e destreggiandosi abilmente tra le più disparate discipline: l’arte, la medicina, la politica, l’ecologia. Amante del termine transexpériences, lo usava difatti nell’accezione di attraversamento all’interno delle esperienze. Esperienze non soltanto artistiche ma accumulate nel corso di una vita, frutto di scambi, contatti e conflitti sociali e culturali. L’esposizione accoglie una vasta produzione che ripercorre i diversi approcci dell’artista all’arte, dalla pittura figurativa, alla scultura, all’installazione ai disegni e bozzetti (annoverati sotto il nome di Cahiers de récherche) che testimoniano la grande importanza data dall’artista alla fase progettuale e concettuale dei suoi lavori. Fino al 7 giugno saranno in mostra circa 30 opere iconiche tra cui, per citarne qualcuna, grandi installazioni come Round Table – Side by Side (1997), Beyond the Vulnerability (1999) e Le Bureau de change (1996-2004), pensata dall’artista nel 1996 e realizzata dopo la sua morte.