Scolpendo il mondo vivo

Assiso tra le sue sculture, sembra un vecchio patriarca che dialoga coi suoi amici. Baffo bianco e sguardo sveglio, dall’alto delle sue 75 primavere – è nato a Taiwan nel 1938, l’anno in cui i giapponesi infuriavano coi loro massacri a Nanchino – Ju Ming è tra i decani della scultura cinese e tra gli artisti più rappresentativi della scena asiatica. La retrospettiva con la quale il museo d’arte di Hong Kong lo omaggia è il giusto tributo alla sua opera ancora non molto nota al pubblico europeo. A lui è dedicato un intero piano dei quattro della struttura che a Tsim Tsa Shui si affaccia sul delta del Fiume delle perle e sull’isola madre dell’arcipelago, mentre tutt’attorno sono collocate buona parte delle creazioni in mostra. Prese d’assalto dagli scatti dei passanti che i traghetti allo Star ferry sbarcano dall’isola che dà il nome all’ex colonia inglese o sono vomitati dai sottopassaggi della decina di linee della metropolitana che fanno capo al quartiere, nel lembo estremo della penisola di Kowloon.

Rame, pietra, legno, alluminio, bronzo: nessun materiale è estraneo all’estro creativo di Ju Ming: «Trattare la materia – dice – è come avere a che fare con dei bambini, devi imparare a conviverci, dare loro modo di esprimere la loro natura senza soffocarla, non solo plasmarla». Sagge parole quelle del vecchio Ming, uomo che molto ha visto e altrettanto racconta nei suoi lavori, nella versatilità dei materiali connotati dalla sua tipica cifra: figure spesso appena sbozzate, dai lineamenti quadrati, volti e posture che dietro l’apparente serialità celano una molteplicità di atteggiamenti verso la vita. E Sculpting the living world – Scolpendo il mondo vivo – s’intitola appunto l’esposizione di opere tratte in massima parte dall’omonima serie. Tre le sezioni in mostra, dentro e fuori il museo collocato tra l’avveniristica mole del Centro culturale di Tsim Tsa Shui e la lunga sagoma dell’hotel Intercontinental, sul lungomare della passeggiata delle star, copia in salsa locale dell’omonima parata di stelle hollywoodiane sulla walk of fame di Los Angeles.

Il mondo degli affetti, intimo, e quello del vivere quotidiano, pubblico, costituiscono le prime due, mosse dalla volontà di prevalente raffigurazione estetica della gente colta nella sua vita di relazione o nel trantran metropolitano. Così, persone in fila con l’ombrello e coppie in carrozzina, praticanti di Taichi e scolarette ciarlanti, prostitute all’angolo della strada e frettolosi business men sono ritratti da Ming nel caratteristico profilo squadrato che rimanda ai Playmobil o alle costruzioni Lego, pezzi di un’umanità ordinaria e vagante. Qui la scelta dei materiale può rispondere al grado di artificiosità del vivere sociale. Così, la tuffatrice in piscina mostra la sua silhouette d’alluminio a riprova del suo status sociale, laddove la famiglia contadina è sgrossata nel legno. E la valenza della ricerca è prevalentemente di natura estetica, sia che s’affidi al colore piuttosto che al bianco e nero o punti agli incastri umani, come singole cellule di un unico organismo sociale, invece che alla raffigurazione attraverso singole figure o scene del teatrino della vita. A questo genere descrittivo non è estranea una vena ironica, come nel caso della serie Skirt story, Storia di gonne: Hong Kong è un posto piuttosto ventoso e le belle ragazze hanno la buona abitudine di girare con gonne cortissime, così non mancano le storie da raccontare per chi sappia coglierle al volo.

La terza e ultima serie lascia l’aspetto meramente descrittivo per farsi più concettuale, senza rinunciare all’usuale cifra stilistica. The carefree world – Il mondo spensierato, questo il titolo – è in realtà tutto fuorché beato. Qui Ming punta l’indice contro le costrizioni sociali, le gabbie mentali prima ancora che reali nelle quali gli umani amano rinchiudersi, per convenzione o rassegnazione. Dal matrimonio alla scelta di una vita violenta e malvagia, piuttosto che in armonia con sé e gli altri, l’artista vuole sottolineare la scelta volontaristica di ciascuno, e con un richiamo riecheggiante il Calvino scrittore investe il suo lavoro di un’aura moralistica. «L’inferno è nel mondo reale, ma il mondo dei viventi può anche essere un paradiso. Sta solo a te decidere dove andare, da che parte stare», dichiara convinto l’artista. Assai distante, in questo, dal fatalismo di certa filosofia orientale ma molto vicino al determinismo di alcune correnti che si richiamano ai grandi classici del pensiero cinese.

Sculpting the living world, fino al 15 giugno, Hong Kong museum of art, 10 Salisbury road, info: hk.art.museum