Affordable Hong Kong

Oltre 120 gallerie con un migliaio di artisti in mostra, quasi 20mila presenze e pezzi venduti per 30milioni di dollari (locali). Sono questi i numeri della seconda edizione dell’Affordable art fair di Hong Kong che si è chiusa all’insegna del porco volante Fucsia al suo ingresso, dal sintomatico titolo Amami. Non da sballo ma tutti in crescita i numeri del bis che ha chiuso i battenti al Convention and exibithion centre dell’ex colonia inglese. Che da queste parti continua a spingere la crescita del gigante rosso, assieme all’area di Shanghai e di Pechino, e scusate se è poco. L’arte non si tira indietro, a maggior ragione visto che non si tratta della fiera trainante dell’area, ma di quella che a prezzi abbordabili, tra i mille e i 100mila dollari locali, al cambio da 100 a 10mila euro – affordable, appunto – traccia una mappatura delle nuove leve asiatiche non ancora preda del “big market” e apre una  finestra sul mercato di questo spicchio d’Asia fucina di crescita e talenti locali. Un terzo delle gallerie partecipanti, infatti, sono del posto, mentre il 60% provengono dall’area asiatica e il restante 40% dal resto del mondo.

L’Italia, come al solito, non fa la corsa della lepre ed è presente con la sola Flame art gallery. Una piccola ma agguerrita galleria che tre anni fa ha deciso di guardare a questo crocevia del Sudest asiatico per fare affari e da pochi mesi ha deciso che era meglio piantarci le tende, da queste parti. «Non ne potevamo più di essere strozzati dallo stato italiano, qui è tutto più facile, tasse ai giusti livelli e nessuno che ti metta i bastoni tra le ruote con cavilli borbonici», dice Franco Savadori, uno dei due soci della galleria che mira all’apertura di una nuova sede al Central, nel cuore di Hong Kong, grazie a un socio cinese di prestigio, e si prepara a lanciare una cinquantina di giovani hongkonghesi tra le sue mura. Intanto, nello stand fanno bella mostra di sé un pugno di giovani selezionati con l’ausilio di Loretta Lau, anch’essa tra le nuove leve artistiche, tra i quali spiccano gli impasti a olio forieri d’impegno ambientale di William Tong. «La sua è una pittura rievocativa di uno stile calligrafico che lascia il segno», sottolinea il gallerista. In mostra anche una pattuglia di selezionatissimi italiani, tra cui spicca Annalù (a sinistra nella foto, accanto alle sue eteree fantasmagorie in vetroresina). Ma guai a pensare che per i nostri connazionali siano rose e fiori, qui. «I figurativi italiani, pure bravissimi come Saturno Buttò, non trovano spazio e l’astrattismo, l’iperconcettuale di tanta parte dei nostri giovani non attecchisce. È un fatto di sensibilità», fa eco Alberto Annesi, l’altro socio.

Rispetto alle fiere di casa nostra, infatti, quella nel megacentro che s’affaccia su Tsim Sha Tsui e la penisola di Kowloon è un tripudio di figurativismo, con molte cineserie coloratissime e più d’una strizzata d’occhi all’Occidente,  a riprova di cosa trovi posto nelle case dei collezionisti locali e cinesi, sempre più ricchi e numerosi, e se proprio un occidentale deve entrare, che questo sia di grido, anche in questa fascia di prezzo. Così, Hirst e i suoi epigoni come se piovesse: un singolo puntino si porta via a poco più di duemila euro, assai più ne servono per mettersi a casa Roel Obemio, il suo bacio a metà fra Klimt e Botero, e ben 74mila dollari per una tela di Kwak Seng Yong che rifà il verso alla Gioconda. Ma non ci sono solo perline colorate e scopiazzature: i paesaggi su lastra d’alluminio di Stliana Alexieva alla Quantum contemporary, i coloratissimi fumettoni sotto teca di Charles Fazzino alla Bruno art group di Singapore e gli omini sui rami di Jennyfer Stratman, più che i Globorot dalle fattezze umane di Joel Kuntz che vanno a ruba nella newyorchese Living with art, tanto per buttare qui due esempi, dimostrano che l’arte è viva e tutti possono sperare in una buona occasione. O, per dirla come le parole del fondatore delle 14 edizioni dell’Aaf in giro per il mondo, Will Ramsay: «Non bisogna essere plurimiliardari per mettere l’arte al muro». E la cosa, detta in un posto che vede tra le più alte concentrazioni di paperoni del pianeta, fa il suo effetto.

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