«Mi piace realizzare immagini che siano tanto semplici da non poterle evitare e tanto complesse da non riuscire ad afferrarle», con queste parole Alex Katz, nato a New York nel 1927, riassumeva qualche anno fa la sua pittura. In poche parole sono condensate le basi della sua filosofia stilistica: il tentativo di abbracciare le potenzialità offerte dalla bidimensionalità, evitando ogni forma di illusionismo. Nell’era della tridimensionalità è forse difficilmente concepibile, ma Katz, già a partire dagli anni ’50, agli inizi della sua carriera si allontanava, seppure affascinato, dall’espressionismo astratto per scrollare di dosso alle figure ogni tipo di spessore materico, applicandosi nel ritratto come immagine piatta, più simile alla pop art che al fedele realismo. In ciò risiede il segreto della contemporaneità di Katz, nelle sue immagini ridotte ai minimi termini, che non abitano lo sfondo ma ne sono separate da una linea di confine che le lascia sospese in un altrove freddo, privo di anima.
Senza narrare storie in profondità, Katz è interessato ad altre storie, quelle che si svolgono in superficie. Come immagini di carta ritagliate che galleggiano su campiture piatte di colore omogeneo, le figure femminili e maschili diventano icone algide della contemporaneità. Per questo più spesso i suoi dipinti di grandi dimensioni vanno a braccetto con serigrafie del pop britannico, simili nella resa sintetica del tratto agli ambienti assolati di David Hockney. Tuttavia, Katz ha sempre rifiutato l’etichetta di artista pop: «Le differenze si rilevano semplicemente nel fatto che gli artisti pop agivano attraverso i segni mentre io attraverso i simboli; partivano dalle riproduzioni, io attingo dalla vita». Amici, intellettuali, ma soprattutto i componenti della sua amata famiglia diventano la prima fonte di ispirazione per l’artista, in particolar modo la moglie Ada divenuta nel tempo una vera e propria musa ispiratrice, seguita dal figlio Vincent.
Nonostante Katz non ci voglia raccontare storie, riconosciamo nelle sue grandi tele le atmosfere dell’upper class newyorkese che, ingioiellata e agghindata, ci osserva con lo sguardo vuoto dietro le lenti di grossi occhiali da sole che ne garantiscono l’anonimato. La malinconia di persone sole, che, seppure vicine, non cominicano tra loro, ricordano i personaggi di Edward Hopper, sospesi e illuminati dal colore. Quelli che possono sembrare gigantografie di poster, richiedono però in alcuni casi un vero e proprio lavoro sulla luce en plein air: «Spesso mi tacciano di essere un illustratore – ammette l’artista – Il mio processo pittorico, invece, è molto complesso». La Galerie Thaddeus Ropac di Parigi e la Timothy Taylor gallery di Londra propongono in questi mesi due mostre dedicate all’artista di Brooklyn, la prima intitolata 45 Years of Portraits. 1969-2014 e la seconda coincentrata sulla produzione dell’artista dagli anni ’70 agli anni ’90. In contrasto con la resa bidimensionale delle sue tele, queste esposizioni mostrano il tentatiivo di Katz di ampliare i confini spaziali, dando volume alla bidimensione attraverso la serie dei cutouts, delle silhouette dei suoi personaggi ritagliate sul legno o sull’alluminio che acquistano valore scultoreo.
Galerie Thaddeus Ropac, fino al 12 luglio, avenue du Général Leclerc 69, Paris-Pantin; info: www.ropac.net
Timothy Taylor gallery, fino al 17 aprile,15 Carlos Place, Londra; info: www.timothytaylorgallery.com