Cecchini tra natura e artificio

Il 18 marzo apre a Milano alla fondazione Arnaldo Pomodoro la personale dell’artista che ha vinto il premio Pomodoro per la scultura, Loris Cecchini, classe 1969. La mostra, curata da Marco Meneguzzo, ha luogo nello spazio della fondazione milanese e ospita un gruppo di opere recenti accompagnate da un lavoro d’installazione realizzato appositamente per l’occasione. Peculiarità fondamentale dell’artista è quella di decostruire la realtà su più livelli adoperando materiali eterogenei dalle forme e dai colori estremamente freddi. Artista eclettico, adopera tecniche miste che vanno dalla fotografia all’installazione ma che hanno la trasfigurazione come elemento comune. In un processo alternato di decostruzione e ricostruzione, la varietà degli elementi si interseca continuamente creando collages multipli e dettagliati modelli architettonici, oggetti replicati in scala reale e riprodotti in gomma uretanica che appaiono inermi, quasi fossero ripiegati su se stessi, roulotte reinventate e improbabili case sugli alberi. Spazi strutturalmente distorti, insomma.

Tra dimensone fisica e dimensione virtuale, l’opera Waterbones, composta da piccoli moduli d’acciaio che si muovono liberamente nello spazio, sottolinea l’estrema leggerezza espressa dal titolo. Ossa liquide che fluttuano nello spazio creando una sorta di forma molecolare ottenuta dalla concatenazione dello stesso modulo. Gli elementi galleggiano nell’aria in modo completamente autonomo e la ricerca del grigio è legata, per Cecchini, a un’idea di neutralizzazione, di prototipazione che fa intendere come il grigio sia più assenza che presenza. Una creazione di forme organiche, enigmatiche, che imitano la natura ma al tempo stesso la distorcono. Grande fonte d’ispirazione, il suo interesse per la botanica si riflette nell’elaborazione di forme biomorfe che producono sculture simili ad arborescenze.

La mostra prosegue fino al 27 giugno inserendo anche la serie Wallvave Vibrations, un’alterazione della manifestazione fisica di vibrazioni che vengono espresse ogni volta con intensità e frequenza diverse. Una simbiosi organica tra scultura e parete. «Per me era ed è una sorta di metafora per dire che in qualche modo siamo sconnessi con la realtà, che abbiamo delle difficoltà di lettura dell’originale – afferma Cecchini – il fatto di essere calati in una realtà che, come spesso anche il cinema ci fa presente e ci fa percepire, è un misto di natura e artificio». In occasione della mostra viene pubblicato il terzo numero dei Quaderni che illustra tutte le opere installate nello spazio della fondazione documentando con testi critici l’intero percorso artistico di Cecchini, dialogando con l’artista e con un ricco apparato scientifico. Partendo dalla fluidità della materia, l’artista arriva a ottenere un oggetto replicato centinaia di volte, copie di copie che s’intrecciano sulla destrutturazione dell’originale.

Fino al 27 giugno; fondazione Arnaldo Pomodoro, via Vigevano 9, Milano; info: www.fondazionearnaldopomodoro.it