Robert Heinecken a New York

Robert Heinecken è stato considerato per tutta la sua vita un personaggio anomalo nella storia della fotografia. Solo dopo la sua morte, nel 2006, il mondo intero si è accorto che di quella storia invece ne era stato un elemento fondamentale. La carriera artistica di Heinecken può essere spiegata come quella di un uomo che capiti i confini del proprio mondo non fa altro che muoversi istericamente sulla linea di frontiera, fra il conosciuto e il non ancora praticato. Forse basterebbe per spiegare il personaggio, puntualizzare il fatto che pur essendo scambiato per fotografo, in verità Heinecken ha scattato ben poche fotografie. A restituire il giusto ruolo nella sua disciplina ci pensa il Moma di New York con la prima retrospettiva dedicata all’artista curata da Eva Respini.

Il fotografo nasce a Denver nel 1931, per poi laurearsi nell’università della California a Los Angeles. Nel 1961 fonda un corso di fotografia nella stessa università che lo terrà impegnato per un trentennio. Per gran parte della sua vita ha fatto avanti e indietro fra Los Angeles e Chicago dove insegnava arte sua moglie Joyce Neimanas. Muore nel 2006 perché colpito dal morbo di Alzheimer. Nel camino artistico del fotografo un punto di svolta è segnato dalla serie Are you rea dove presentava pagine di riviste modificate alle quali venivano tolte o aggiunte delle immagini nel tentativo (riuscito) di creare altre connessioni possibili oltre a quelle predisposte dal magazine e fruite passivamente dal lettore. Il titolo della serie è esplicativo perché ad Are you rea mancano delle lettere finali (l o lly) finite in una pagina accanto di una rivista, non considerata dal creativo, di una pubblicità per un reggiseno. Se pensate di tacciarlo come surrealista, non vi scomodate, se lo è detto da solo «Perfetto esempio dada».

È facile oggi, con il segno di poi, vedere queste operazioni di Heinecken come un ponte gettato fra gli ultimi strascichi di avanguardie storiche e la nuova arte mediatica di una Cindy Sherman o di un Richard Prince ma all’epoca certo non era così lampante. Il fotografo continua con queste azioni focalizzandosi nei tardi anni Sessanta e per tutti i Settanta su immagini pornografiche o erotiche tratte di nuovo da riviste come Playboy e alternate a figure rubate da periodici come Time o Vogue.

Contemporaneamente a questi lavori, il fotografo comincia a sviluppare un’attenzione particolare per il televisore che si trasformerà durante gli ani Ottanta in una vera e propria ossessione. È in questo periodo che lo statunitense comincia a forzare i confini della fotografia trasformando scatti (suoi o di altri) in stampe che poi sovrappone sulle pagine di altre riviste, appartengono a questo periodo anche i suoi esperimenti sulla sovrapossizione di negativi che danno una visione della realtà decisamente inquietante da intendere come un flusso continuo di immagini e informazioni che non ha senso bloccare e che ogni volta che si prova a fermare, il risultato non può essere altro che questo: puro caos.

È forse questo il merito più grande di che come un veggente anticipa una società in continua evoluzione che non vuole trovare il tempo per guardare una sola immagine quando in una stessa fotografia può vederne due.

Fino al 9 settembre, Moma New York; info: www.moma.org

 

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