Primitivismo viscerale

«Ezechiele Leandro va amato per poter piacere» spiega il gallerista Nicola Mazzeo alla Rizomi art brut, e in questa frase sta il sentimento che si prova di fronte a questo genere di pittura, ci si divide tra folli amatori e ferventi critici. Fino al 16 marzo nello spazio la sua pittura travolgerà gli osservatori con i colori della terra, marroni, neri, rossi, e con figure mostruose, per rappresentare un’umanità deludente e maligna. Un modo di dipingere vicino alla violenza di alcuni pittori russi che hanno vissuto il comunismo e le sue contraddizioni, frutto di un primitivismo viscerale e di una visione negativa dell’uomo, un dipingere che può essere accomunato insomma agli artisti che hanno visto dell’umanità il lato peggiore e hanno urlato il loro sdegno. Leandro (1905-1981) nasce a Lequile ed è originariamente pastore, poi riparatore e venditore di biciclette, infine cementista e rottamaio. È però l’acquisto di un terreno e la costruzione di una casa a San Cesario a permettere al creativo di esplorare la propria creatività.

In questo contesto si scopre scultore, scrittore e pittore, e nei tre ambiti artistici fuoriesce il suo modo insolito di osservare la realtà, crudo e rassegnato allo stesso tempo. Dagli anni Sessanta critici e artisti colgono il valore del suo lavoro, che però rimane di difficile lettura per i suoi concittadini tanto da arrivare ancora a noi oggi con una durezza che stentiamo ad accettare. Ricorrono figure antropomorfe, nuclei, punti, linee, centinaia sono i quadri e le sculture, e vi si leggono racconti di fuoco e di terra, impressi con la durezza della roccia e con la minuzia della decorazione. Mescolare e riciclare è il suo metodo nella scultura, ed è in questo campo che prende vita la più maestosa delle opere di Ezechiele, un’architettura utopica ospitata all’esterno della sua casa a San Cesario , il Santuario della pazienza, una sorta di tempio pagano legato a forme ancestrali. Qui i materiali più disparati, pietra, legno, creta, stoffa, ossa, copertoni, ferro, piastrelle, confluiscono in un’unica architettura che assume così un’aura mistica e concretizza l’idea dell’artista di un mondo utopico. Scelte estetiche e scelte etiche si fondono nella creazione delle sue opere. La partenza è spesso il recupero di materiali scartati, il fine è la loro riqualificazione attraverso l’arte, perché esiste per Leandro un mondo ricco di potenzialità e bellezza, lo abbiamo sotto gli occhi, e non è altro che quello che l’uomo, quotidianamente, scarta.

Fino al 16 marzo; Rizomi art brut, corso Vittorio Emanuele II, Torino; info: www.rizomi.org

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