I soldati che salvarono l’arte

Ispirandosi a fatti realmente accaduti, George Clooney dirige la storia di un curioso plotone di esperti d’arte che, durante la seconda guerra mondiale, viene delegato dal governo degli Stati Uniti per recuperare e salvare le opere che i nazisti avrebbero potuto distruggere. Basato sull’omonimo romanzo di Robert Edsel il film rappresenta una grandiosa produzione cinematografica che, nonostante le vicende narrate, si muove su ritmi abbastanza calmi e mai frenetici. Il cast composto dallo stesso Clooney, Matt Damon, Bill Murray, Cate Blanchett e John Goodman è stato scelto con cura e si destreggia anche con ironia tra le vicissitudini belliche raccontate nell’opera, nella quale è stato deciso d’innalzare in maniera esponenziale l’elemento arte, rappresentativo della nostra provenienza soprattutto culturale.

Il plotone di Monuments men viene caricato da un’estrema convinzione patriottica nell’eseguire i compiti assegnati; rischiando la propria vita i protagonisti, spinti da un amore incondizionato, non mostrano indecisioni di alcun genere nel cercare di salvare dipinti e monumenti. Clooney resta totalitario nella costruzione di un lungometraggio metaforico che non frena e non ha minimi ripensamenti sul difendere la provenienza delle nostre radici, passando per l’arte come elemento principe e più rappresentativo della nostra identità. Le interpretazioni dei protagonisti interagiscono con la narrazione sempre in maniera pacata non risultando mai sopra le righe, opponendosi al grottesco ma reggendosi negli aspetti comici con adeguata distensione. La sceneggiatura di Clooney e Grant Heslov inserisce elementi ironici e drammatici alternati e bilanciati con congruo equilibrio in un progetto cinematografico che ha comportato un lavoro di grande impegno tecnico dovuto alla ricostruzione di molteplici set e di tante opere artistiche. A supportare il regista in questo grande impegno incontriamo il direttore della fotografia Phedon Papamichael, la costumista Louise Frogley e lo scenografo Jim Bissell, che con attento scrupolo completano il delineamento del valore comunicativo ed espressivo di questo film dal volto estremo, che non potrà piacere a tutti ma che solleva argomentazioni di vitale importanza, tra le quali il rispetto e la salvaguardia delle opere d’arte che rispecchiano il valore delle tradizioni e quello economico di una nazione.

Sarebbe bello infatti che il piccolo plotone di Monuments men sbarcasse anche in Italia a spargere un po’ di buon senso, per far capire che tenere cura in modo deciso e costante del nostro patrimonio culturale aggiungerebbe dignità e forza ad un paese che, secondo l’Unesco, possiede il maggior numero di siti che si trovano nella lista dei patrimoni dell’umanità. In una società dove pare essere tutto interpretabile dovrebbero restare intatti e assoluti alcuni principi, quelli rappresentativi di una certa consapevolezza inerente al vasto patrimonio artistico che possediamo e al quale dobbiamo educarci, non necessariamente con approfondimenti accademici, ma almeno con una certa percezione che l’arte deve essere incoraggiata e rispettata anche per il potenziale economico di cui è forte, elemento non secondario rispetto a una corporatura che costituisce un’intera nazione tra singole coscienze, consapevolezze politiche e istituzioni competenti.

Tra gli altri film in sala troviamo l’opera di Akiva Goldsman noto soprattutto come sceneggiatore (premio Oscar per A beautiful mind) sche lancia nella direzione di un film. Per il suo primo lavoro s’ispira al romanzo di Mark Helprin dal titolo Storie d’inverno, ne ricalca nome e in parte la trama a metà fra azione e fantasy che vanta la presenza di attori come Colin Farrell e Russell Crowe. Sam Garbaski è invece autore di una commedia agro dolce, Vijay, il mio amico indiano, dalle profonde ispirazioni letterarie. Protagonista della pellicola è un attore fallito che, come un Mattia Pascal, si ritrova morto e costretto a indossare dei panni non suoi, con il rischio di non poterli più lasciare. Per rimanere nella commedia, in sala troviamo la pellicola, Sotto una buona stella, firmata Carlo Verdone che vede la presenza di Paola Cortellesi. Il lavoro ricalca le dinamiche solite del regista romano con quel misto di ironia e drammaticità che anima i 106 minuti di proiezione. Intenti decisamente documentari muovono l’operato di Louis Nero in sala con il Mistero di Dante. Attraverso il parere di scrittori, intellettuali, artisti e uomini di fede il regista tenta una lettura diversa della Divina commedia interpretata secondo dinamiche massoniche. Il lavoro, però, si presenta, dopo dieci minuti ben montati, come una serie d’interviste frontali che per quanto interessanti mettono a dura prova l’attenzione dello spettatore.