Il suo stile è non avere stile

Pádraig Timoney è un irlandese e come si sa (o come tutti sanno dopo The departed) capire bene cosa pensano gli irlandesi è praticamente impossibile. «L’unico popolo impenetrabile alla psicoanalisi» scriveva Freud. Dici, ma Timoney è un artista, qualcosa di suo metterà pure dentro i suoi lavori. E invece no. O meglio, ha così tante cose da dire che depista. Siamo sicuri che ci sarà qualcosa che a lui preme particolarmente ma non si capisce, sfugge, perché dopo c’è un altro lavoro completamente diverso dal precedente che cattura l’attenzione. È come portare un bambino in un negozio di giocattoli fornito: se anche aveva un’idea per il suo regalo, ogni scaffale che passa mette in dubbio le sue certezze in un cambio continuo di priorità e necessità. Questo, va da sé, crea molta confusione e la confusione non piace, di norma, ai critici che non la fanno piacere ai galleristi che a loro volta la fanno odiare ai mercanti. Le opere, di un siffatto artista, rimangono così a prendere polvere nello studio. Invendute ovviamente.

Ma Timoney è un irlandese e oltre a non prendere minimamente in considerazione la questione omogeneità di stile, riesce anche a vendere e trovare spazi disposti, per nostra fortuna, a esporlo. Uno di questi è il Madre di Napoli che oggi ha presentato in anteprima la mostra sull’artista, la prima in un’istituzione pubblica. A lu tiempo de, è il titolo dell’esposizione curata da Alessandro Rabottini che si propone come una sorta di retrospettiva di metà carriera con una cinquantina d’opere realizzate nell’arco di vent’anni. Timoney è infatti nato nel 1968 si è diplomato al Goldsmiths di Londra nel 1991 per poi diventare nel 1999 uno dei curatori della biennale di Liverpool e come recita la pagina di Wikipedia a lui dedicata: usa principalmente fotografia, pittura e installazioni. In quel principalmente è riassunta tutta la poetica del creativo.

La mostra del museo napoletano non ci prova neanche a cercare d’inquadrare l’operato di Timoney in una corrente artistica precisa ma rivela il creativo in tutta la sua conturbante eterogenità. Non solo diversità di tecniche ma differenze anche nella stessa tecnica. Una sua esposizione, se non fosse per lo stesso nome sulle didascalie, può essere scambiata in tutto e per tutto per una collettiva, il suo stile è non avere stile se vogliamo citare Eduardo Sanguineti. Lontanissimo quindi dai grandi dell’arte che non fanno altro che ripetersi, che una volta trovata una cifra stilistica non l’abbandonano fino, spesso, letteralmente, alla morte, Timoney indaga e sperimenta vari medium, cercando quello più vicino alla causa e senza porsi alcun tipo di problema se questo può spaventare o confondere l’osservatore. I suoi lavori sono come un coro che assume la sua forma perfetta nell’insieme delle parti, composizioni, certo più vicine a un Cage che un Mozart, lavori che rivelano una cacofonia stilistica come a voler ingannare gli stessi media che utilizza.

Fino al 12 maggio; Madre, via Settembrini 79, Napoli; info: www.madrenapoli.it

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