La Corte dei conti ha chiesto alle tre agenzie americane di rating, Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch, un maxi-risarcimento da 234 mld per l’abbassamento del giudizio sul Belpaese perché non tiene conto dell’ingente patrimonio culturale e artistico nazionale che rappresenta un motore per la crescita. Moody’s respinge le accuse: ”Sono senza merito”, si legge in una nota dell’agenzia di rating. L’accusa della Corte dei conti, sottolinea S&P in una nota, ”è incosistente, superficiale e priva di ogni fondamento”. L’agenzia americana ha dunque fatto sapere che si opporrà ”con tutte le forze” all’iniziativa della magistratura contabile italiana. Sulla vicenda è intervenuto anche il ministero dei Beni e delle attività culturali: ”Il valore del patrimonio storico, culturale, artistico e paesaggistico dell’Italia è indubbio e non può essere messo in discussione. A fronte di questa ricchezza emergono enormi potenzialità di crescita che dobbiamo saper valorizzare al meglio. Per questo ritengo fondamentale mettere l’industria culturale e turistica al centro delle nostre politiche”. Lo afferma in una nota il ministro Massimo Bray, commentando la notizia. ”Ritengo sia strategico e vitale – aggiunge – tornare a considerare la cultura, declinata in tutte le sue manifestazioni – i monumenti, il paesaggio, i musei, le biblioteche e gli archivi, la musica e lo spettacolo – non soltanto come un bene da tutelare e valorizzare ma anche come una grande opportunità di sviluppo sociale ed economico. La scelta del governo di unire la governance dei beni culturali con il turismo è lungimirante e vincente” ha concluso. Resta da vedere come si concluderà sul piano giudiziario questa storia. Ma un esame di coscienza è doveroso: bisogna chiedersi perché dagli Stati Uniti, grande partner culturale dell’Italia, il nostro patrimonio artistico sia stimato così a ribasso. Forse perché fa più notizia un crollo a Pompei, dovuto all’incuria e alla scelleratezza di chi è incaricato della gestione e della salvaguardia di questi siti, rispetto alle politiche di incentivo per lo sviluppo delle nostre potenzialità? Oppure effettivamente ci siamo abituati a ”campare di rendita” e la nostra concezione di patrimonio culturale è limitata all’idea del turista che paga il biglietto? È giusta la contestazione della Corte dei conti perché difende la posizione dell’Italia. Ma un ragionamento più generale non guasterebbe.