Oggetti quasi finiti

Londra

Cosa si nasconde dietro una regolare pallina da tennis, il fascino di un diamante o la linearità di una mazza da cricket? Una materia indefinita, talvolta brutta e irriconoscibile. È il fascino del processo produttivo, che i due designers britannici Edward Barber e Jay Osgerby hanno rappresentato magistralmente nella mostra In the making che inizia domani al Design museum di Londra. Una mostra che celebra il trionfo dell’estetica dell’incompiuto. I due creativi hanno scelto una sorprendente gamma di oggetti. E hanno scelto di mostrarli ancora non finiti, per coglierne l’essenza che si sprogiona nel corso del processo produttivo. Si tratta di molti oggetti che condividono una peculiarità: durante la fase produttiva assumono un aspetto molto diverso dalla loro forma finale. Un esperimento di spiccata difficoltà e dall’indiscusso senso artistico, che gioca con il concetto di bellezza: non sempre l’armonia nasce dalla purezza della forma, anzi. Molto spesso è frutto di un conflitto, nell’estetica, come in molti altri campi.

La mostra regala uno sguardo sul dialogo ininterrotto del design con la manifattura, che è molto originale nella sua praticità. Nel corso della loro carriera, i due designer hanno sempre manifestato una forte sensibilità e un interesse nei confronti del processo produttivo. Il modo in cui le cose sono state create ha avuto una notevole influenza sul loro lavoro. Ed ecco che hanno messo in piedi una mostra che sintetizza il loro metodo di lavoro: guardare oltre le cose: «Siamo sempre stati affascinati dal processo produttivo proprio perché rappresenta una parte integrante del nostro lavoro – hanno detto i due – noi abbiamo curato una mostra diretta a raccontare e rivelare un momento congelato all’interno del processo manufatturiero e a svelare l’essenza degli oggetti tipici della quotidianità nella loro interiorità caratterizzata dall’incompiutezza. Il risultato è che oggetti molto belli, nel loro stato finale, possono rivelarsi anche molto brutti». Una verità tanto reale quanto scontata. Ma chi ha mai detto che per essere dei geni bisogna imprigionare l’infinito? Talvolta basta tenere gli occhi bene aperti sulla realtà. E questo duo ha già dimostrato di saper sintetizzare l’universalità in una semplice forma. Lo ha fatto con il disegno della torcia olimpica dei Giochi di Londra del 2012, che porta la loro firma. Un oggetto per cui hanno ricevuto molti riconoscimenti internazionali. Il loro approccio multidisciplinare sfida i confini del design industriale, dell’architettura e dell’arte.

Info: www.designmuseum.org