Le uscite al cinema

Anita B. di Roberto Faenza apre la nuova settimana cinematografica sulla scia del dramma dell’Olocausto narrando le vicende di un’adolescente ungherese che dopo essere sopravvissuta ai campi di concentramento viene accolta con una certa ostilità dalla zia Monika nei pressi di Praga; avrà inizio un viaggio travagliato all’insegna dell’Io nel quale Anita dovrà confrontarsi con la propria memoria e il mondo che la circonda. Ispirato al romanzo Quanta stella c’è nel cielo di Edith Bruck ed interpretato da Eline Powell, Andrea Osvart e Robert Sheehan la pellicola resta il risultato di un prodotto ben realizzato nel quale il regista continua ad esplorare l’animo umano e le sue complessità attraverso una narrazione essenziale ed asciutta, nella quale le contraddizioni e il senso di inadeguatezza della protagonista (Eline Powell) riflettono con particolare durezza e drammaticità quegli stessi aspetti che appartengono ai campi di concentramento. L’autore non si sofferma sulla descrizione storica ma racconta con equilibrio una storia difficile da trasporre in immagini poiché costituita da contrapposizioni interiori e forte senso di smarrimento, riuscendo nell’intento producendo un film che non scade nel ridicolo perché non esalta in maniera superflua gli aspetti rappresentativi di un certo pathos emotivo nei quali è facile cadere con una certa faciloneria. Anita B. è dunque un’opera di contenuto che si spoglia di quei fronzoli narrativi spesso usati in modo gratuito quando vengono affrontate tematiche che abbracciano periodi storici di forte drammaticità sociale e può definirsi un film dal sapore internazionale che ben si contrasta con la produzione statunitense di James Gray C’era una volta a New York (The Immigrant ) in cui Ewa (Marion Cotillard) veste i panni di un’immigrata di origine polacca che durante il viaggio per New York si trova costretta a prostituirsi per procurare medicinali e cibo alla sorella malata che viaggia assieme a lei. Una volta sbarcata la protagonista continuerà un calvario esistenziale dal quale l’unico modo per uscirne sarà seguire il mago Orlando, interpretato da Jeremy Renner, accompagnandolo durante le sue esibizioni. Gray gira un lungometraggio dai toni classici e struggenti in cui molteplici sono gli argomenti trattati; la lotta di classe, la solitudine, la ricerca e la speranza di un destino migliore e l’istinto di sopravvivenza.

La forza principale della pellicola resta nella tecnicità filmica e soprattutto nella fotografia di Darius Khondji che accompagna le vicende dei protagonisti amalgamando i chiaroscuri di una luce ben compattata e restituita con adeguata logica stilistica alle sequenze e agli stati d’animo degli interpreti. Il melodramma di Gray, seppur di tutt’altro genere cinematografico, affianca un’ulteriore opera americana di grande imponenza come quella di Ridley Scott che porta il titolo di The Counselor – il procuratore e interpretata da Michael Fassbender, Cameron Diaz, Penélope Cruz e Brad Pitt. L’opera narra la storia di un avvocato sovrastato dai propri deliri di onnipotenza che entrerà nell’illegalità all’interno di un giro di traffico di droga. Sceneggiato dal premio Pulitzer Cormac McCarthy The Counselor non smentisce le abilità registiche di Ridley Scott che riesce a costruire un lungometraggio di solida forza narrativa attorno ad un cast ben diretto e retto su aspetti tecnici curati nei minimi dettagli. Il ritmo visivo si armonizza bene con la compattezza di una storia complicata ma ben sintetizzata, che risulta chiara e definita allo spettatore grazie anche al montaggio di Pietro Scalia che riesce a scandire il ritmo visivo con linearità e con giuste frequenze temporali in un film che ha il vantaggio di costruire in crescendo una forte tensione emotiva mantenendo vivo lo sguardo dello spettatore.

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