Il capitale umano

Il regista toscano Paolo Virzì torna a dirigere il suo undicesimo lungometraggio, Il capitale umano, ispirandosi al romanzo americano di Stephen Amidon trasponendo in immagini le vicende di due famiglie del nord Italia; quella dei Bernaschi e dei Rovelli i cui destini verranno stravolti a seguito di un incidente stradale nel quale un ciclista viene investito durante la vigilia di Natale. Sorretto dall’abile interpretazione di Fabrizio Bentivoglio accompagnata da quella di Valeria Bruni Tedeschi , Valeria Golino, Fabrizio Gifuni e Luigi Lo Cascio il film segna per Virzì una nuova tappa registica grazie a un ritratto sociale e politico fondato sempre sulla commedia ma stavolta intrisa di aspetti cinici e al tempo stesso malinconici. La sceneggiatura dello stesso Virzì scritta assieme a Francesco Piccolo e Francesco Bruni non lascia senso di vuotezza rispetto al romanzo condensando equilibratamente e in maniera sostanziale gli intrecci famigliari che ruotano attorno agli intrighi economici; seppur in proporzioni più piccole rispetto al panorama statunitense gli elementi filmici sono ben distribuiti e ben confacenti alla provincia italiana restituendo allo spettatore una società capitalistica mai sopra le righe, presentata e descritta con adeguata aderenza inerentemente ai nostri tempi, che si trascinano appesantiti con crepe caratterizzate da un certo distacco emotivo e un freddo egoismo.

Una decadenza sociale senza falsa retorica che scorre mancante di soluzioni vere e proprie tramite ritmi ben confacenti a una narrazione lineare e che non forza il giudizio dello spettatore, in una cornice esistenziale che trattiene il significato principe nella totale mancanza di osservazione e comprensione del prossimo. Le famiglie del film sono composte da persone che in realtà non si conoscono tra di loro ed è come se i personaggi assorbissero incuranti e con sfinimento le energie dell’altro per soddisfare le proprie esigenze in un gioco al massacro nel quale la persona più vulnerabile decade non perché debole, ma incompatibile con lo stesso gioco che sostiene le condizioni di vita dei protagonisti. Il regista non esalta mai eccessivamente o in maniera esponenziale la società in crisi che caratterizza la sua opera cinematografica ma crea delle figure apparentemente adatte al nostro tempo in realtà indebolite da una struttura sociale instabile fondata sulle contraddizioni tra le possibili aspirazioni personali e una verità che nostro malgrado ci insegue costantemente, in una strada contrassegnata dal progresso economico e gli quegli elementi dell’essere umano che in fondo restano sempre gli stessi. Il lungometraggio rappresenta un prodotto artistico completo nonostante le difficoltà di compattare adeguatamente aspetti sociali, politici ed economici all’interno di vicende dal sapore amaro ma con sfaccettature realistiche farcite da materialismo e distrazione; al pubblico saranno concessi spunti di riflessione veritieri ma non risolutivi perché così deve essere dal momento in cui la vita di ognuno di noi è rappresentata da un percorso conflittuale sotto più punti di vista. Resta comunque nostro compito quello di saper convivere e affrontare le difficoltà dei nostri tempi cercando un possibile senso di adeguatezza sempre sostenuto da dignità e personalità individuale, e dalla capacità di voler comprendere e cercare una sorta di buon senso che alleggerisce le nostre frustrazioni e ci fa andare avanti con un’intelligente speranza.

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