Cosa c’è di più politico oggi del rifarsi a un testo scritto quasi due secoli fa dal massimo poeta italiano, Giacomo Leopardi, poco conosciuto ahimé come pensatore (bisognerebbe rileggersi interamente il suo Zibaldone per comprenderne la levatura di filosofo)? Francesca Fini ha deciso di partire proprio dal Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani per creare la sua performance-metafora sulla situazione dell’Italia e, di riflesso, dell’Europa. Il risultato è un’azione “chirurgica” e a tratti suggestiva che stimola molte riflessioni, un’azione dove l’immagine in movimento gioca un ruolo fondamentale nella messa in scena. Del resto Fini ha sempre fuso insieme nei suoi lavori visualmente complessi il corpo e il video, il materico (anche pittorico) e l’immateriale (soprattutto tecnologico).
L’acronimo Piigs coniato per indicare in modo piuttosto offensivo quei paesi sull’orlo del default, diventa naturalmente un jeu de mot iconico/ironico su cui Fini – con l’apporto del suo compagno di scena Daniele Sirotti – lavora, attraverso un’impostazione in alcuni punti carnascialesca. Piigs si articola su tre livelli concatenati. Il primo è dato dalla lettura integrale del testo, sottofondo significante ma non didascalico rispetto alla performance. Il secondo dalla dimensione fisica, ovvero dall’azione dell’artista. Il terzo è costituito da un paio di interventi video proiettati sullo schermo; in quello iniziale Fini visualizza i primi articoli della Costituzione Italiana mediante un lettering creato quasi in stop motion su una tavola imbandita, componendo le singole frasi lettera per lettera, con svariati oggetti e l’ausilio del compositing. Questa traduzione letterale della Costituzione sfiora volutamente il kitsch. È pop, ridondante, caotica, esattamente come la sua performance: dopo aver versato olio e passata di pomodoro su un telone di plastica – su cui all’inizio Daniele Sirotti aveva dipinto l’acronimo stesso, Piigs – Fini ci pattina sopra cancellando con tenacia e con fatica questa amalgama oleosa di rosso e nero, un impasto di vernice e materia organica. L’olio e il pomodoro rappresentano il condimento classico della cucina italiana, ma questa sorta di action painting per cancellazione – goffa e grottesca – si trasforma in un rituale senza gioia, cupo e sofferto, in una sorta di “porcile” concettuale. Il vitalismo tipico del popolo italiano in Piigs, esattamente come nel classicismo illuminista di Leopardi, è pessimismo della ragione ma anche “satura”, volutamente sgangherata, come i movimenti disarticolati dell’artista sulla scena, nuda o seminuda. Eppure l’idea di partenza, il riferirsi a Leopardi, permette a Fini di volare alto in termini politici e di non ridurre la sua opera alla facile e stereotipata polemica sul malgoverno nazionale. In gioco c’è qualcosa di più profondo e atavico che, anzi, può meglio farci comprendere come la nostra disastrosa situazione abbia radici antichissime.
Ed è forse il video finale della performance ad illuminarci meglio sull’aspetto satirico di PIiigs e sulla natura irriverente e blasfema di questo assemblage estetico-politico: le foto in rapida successione di alcuni uomini politici europei con il simbolo della Ue alle spalle (il cerchio di stelle che rappresentano i diversi stati dell’Unione) sono associate a raffigurazioni della Madonna provvista di un’aureola similare. È l’ultimo ma anche amaro sberleffo al credo europeo (“È l’Europa che ce lo chiede”) che ci ha condotti a una crisi profonda. Non solo economica ma, appunto, culturale. I costumi degli italiani analizzati da Leopardi non sono poi molto diversi da quelli attuali. E così anche la relazione tra il nostro paese e il continente di cui fa parte. Nella prima metà dell’800 l’unità dell’Italia così come quella dell’Europa erano astrazioni, ipotesi, ambizioni. Oggi sono una realtà incompiuta. Di fatto nulla è mutato, e la performance Piigs, pur lavorando sull’immaginario di una satira colorata eppur “fredda” tra sacro e profano, è qui a ricordarcelo.