Don Pasquale di Albanese

Verona

Come tradizione vuole, il giorno di santa Lucia è partita la stagione della fondazione Arena di Verona all’insegna della comicità: Don Pasquale di Gaetano Donizetti al teatro Filarmonico con la regia di Antonio Albanese, direzione di Omer Meir Wellber e un cast di cantanti d’eccezione. Questo dramma buffo in tre atti mancava da quindici anni sulle scene veronesi. La prima rappresentazione, il 3 gennaio del 1843, fu al Theatre italienne di Parigi dopo una gestazione compositiva fulminea. Donizetti era all’apice del successo, aveva sfornato capolavori come Lucia di Lammermoor o Elisir d’amore, ma scoprì il suo talento comico col Don Pasquale. Prese a modello un dramma giocoso di Angelo Anelli, Ser Mercantonio, ma diede alla storia ben diversa profondità psicologica. Il musicista stesso curò la stesura del libretto. «Ho cercato di impostare l’opera con una certa linearità, pulizia ed eleganza», dice Albanese, tornato a una regia di opera lirica dopo il successo del 2009 con Le convenienze e le inconvenienze teatrali di Donizetti, «che in questo momento mi sembrano una forma trasgressiva di spettacolo. Sono andato a tastare il nostro tempo, caratterizzato da sporcizia e volgarità, e il suo bisogno di candore. All’apertura del sipario il colore metallico delle scene di Leila Fteta, iperpulito, è voluto. Sono contento – conclude – perché credo di aver inserito un certo garbo e rispetto, a mio modo, proprio nelle forme».

La storia ruota attorno a quattro personaggi e il segreto della sua comicità assoluta e senza età sono ingredienti tipici, attinti da una tradizione che risale alla tarda commedia greca, per transitare in Plauto, e poi Pietro Aretino, Ludovico Ariosto e tanti altri. I protagonisti sono Don Pasquale, vecchio scapolone tagliato all’antica, come scrive lo stesso Donizetti nelle didascalie del libretto, tirchio e credulone . È zio del giovane Ernesto che vorrebbe sistemare con un buon partito per poi intestargli tutta la sua eredità. Ma il giovane, il classico tenore innamorato dall’animo sognante e la voce chiara, rifiuta tali progetti perché innamorato di una vedovella civettina. A questo punto giunge il terzo personaggio, il baritono Malatesta, il dottore, che con l’ascendente che ha sul vecchio lo convince a prender lui moglie. Propone a Don Pasquale di sposare sua sorella Sofronia, bella e casta. Don Pasquale ringalluzzisce prefigurando i piaceri del matrimonio. Ma qui inizia il teatro nel teatro e fa la sua sortita, per ultima come le convenzioni sceniche prescrivono, la bella Norina, nei panni della futura sposa. Lei, bella colta e astuta, altri non è che l’amata di Ernesto. Fatto il contratto di nozze diventa civetta capricciosa e spendacciona al punto che Don Pasquale vorrà tornare scapolo. Svelata la finzione Ernesto con la benedizione dello zio può amare Norina. «Sono personaggi che attingono dalla tradizione popolare – dice Albanese – maschere immerse in una trama antica e ben rodata, ma capaci di elevarsi al rango di archetipi, quanto mai irriconoscibili rispetto alla loro attualità. Un’opera che racconta con sagacia e intensità situazioni ancora attuali».

L’allestimento della fondazione Arena di Verona replica fino al 22 dicembre ed è un omaggio a Alida Ferrarini, soprano veronese scomparsa a giugno. Svelata la finzione, arriva l’immancabile lieto fine. «La comicità è uno strumento per svelare verità profonde altrimenti drammatiche», conclude il regista. Le ultime parole del libretto sono un classico nel genere, rivolte tanto al pubblico quanto ai personaggi di questo teatro nel teatro che in fondo è la vita: “siate felici!”

 

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