Loach, Virzì e quei cialtroni dell’M5s

Dunque, c’è un paio d’italiani, un inglese e un cialtrone (anzi, diversi milioni). Non è l’incipit d’una vecchia barzelletta ma un fatterello di cronaca nostrana che tasta il polso al Belpaese più della sfiorata rissa tra Bondi e Formigoni al Senato. L’italiano è un regista, Carlo Mazzacurati, autore di film di vaglia e ottimi documentari, fresco premiato al festival di Torino col Gran premio, che buttà lì sul parterre sotto la Mole la battutona: se può avere pure la statuina non ritirata la scorsa edizione da Ken Loach – per solidarietà ai precari usa e getta della Rear, coop a cui il Museo del cinema, tra gli organizzatori dell’iniziativa, appalta i servizi – certo per sbaglio, visto che nessuno gli aveva spiegato quanto fosse civile il festival. L’inglese è pure lui regista: Loach è un tipino placido ma facile a farsi saltare la mosca al naso, come usa dalle sue parti. E replica piccato al collega: s’è chiesto se quei lavoratori illegittimamente licenziati hanno riavuto il loro posto? Se no, offre un’involontaria copertura al museo. S’immischia una deputata pentastelluta del Piemonte, Silvia Chimenti, che accorata s’appella a Mazzacurati: restituisca il premio. Entra a questo punto in gioco il secondo italiano, pure lui regista di molta vaglia, nonché direttore del Torino film festival, Paolo Virzì, che invita il collega inglese a non dare ascolto a quei cialtroni del Movimento 5 stelle e a informarsi meglio su quanto accade in Italia.

Ricordo Loach a una delle sue tante calate nel Belpaese, quasi vent’anni fa. Venuto per presentare un film – Terra e libertà, se la memoria non m’inganna – fece aspettare i giornalisti assiepati in conferenza stampa per recarsi a dare la sua solidarietà agli operai di uno stabilimento lungo la Tiburtina, allora zona industriale della capitale e non rimessaggio di sale giochi di facciata. Poi si concesse il lusso di dire la sua ai poveracci di un foglio locale che il caso volle diretto dal sottoscritto, preferendolo ai colleghi di tanta carta più patinata e blasonata. Questo era Loach, sognatore coerente e sanguigno, conoscitore dell’Italia assai più dei colleghi della stampa britannica, assai più di tanti cervelli nostrani inchiodati alle loro scrivanie. Questo è il regista inglese che ha appena vinto l’Orso d’oro alla carriera: “Lo ammiriamo per come riflette sulle ingiustizie sociali con humour nei suoi film”, recita il comunicato della Berlinale.

Rivedo Virzì in un filmato – è sulle gallery di Repubblica, manco difficile a trovarsi – dove alla domanda se lui sappia qualcosa dei precari del suo festival squadra l’interlocutore come se avesse appena cacato sul red carpet e balbetta insulsaggini. Poi se la piglia con chi non ne sa niente dell’Italia e straparla, come Loach, coi cialtroni dell’M5s. Vai a sapere perché. Tutto in nome di un’idea di cultura molto politicamente corretta ma che, evidentemente, fa a cazzotti con la cialtronaggine di svariati milioni d’italiani (checché se ne pensi dei grillini). Tutto in nome di un cinema che affronta il tema dei diritti negati con la stessa forza dirompente di una scoreggia nell’acqua calda della vasca da bagno. Forse aveva ragione quel tale che alla parola cultura metteva mano alla pistola. Se la cultura è questa, viene voglia di sapere dov’è finita la fondina. Aspettiamo Virzì alla prova del suo prossimo film, Il capitale umano. Ma che non si mescoli la finzione con la realtà, per carità. E dalli ai cialtroni.