Non c’è pace per il Macro

Ci mancava pure Odile Decq. Ci mancava solo l’archistar francese a mettere un’altra zeppa sul difficile momento del Macro, far litigare il suo primo direttore, Danilo Eccher, quello che l’ha voluta e gestita nel rinnovamento del museo capitolino, e i vertici del comune. I fatti. Mercoledì 27 novembre si presenta nella sede di via Nizza la conferenza sul rifacimento della struttura inaugurata nel dicembre di tre anni fa, con un parterre zeppo di autorevoli interventi. Dove, però, manca proprio Eccher. Che, piccato, scrive all’assessore Flavia Barca: «Mi dispiace doverle ricordare che io ho fatto parte della giuria selezionatrice del progetto in questione e per oltre 8 anni ho seguito tutti i lavori del Macro, fino alla sua quasi completa realizzazione. Essendo dunque la persona che ha fondato il Macro e ne è stato il suo primo direttore per 8 anni, ritengo professionalmente corretto che tale ruolo mi venga riconosciuto». Replica non meno piccata dell’assessorato, per penna di Alberta Campitelli, l’attuale direttrice che, scaricando il barile sulle spalle dell’ufficio stampa dell’archistar, puntualizza: «Noi non abbiamo avuto alcun ruolo nella scelta dei relatori, io farò semplicemente un saluto di cortesia in quanto direttore ad interim, e certamente ricorderò tutti coloro che hanno contribuito alla nascita del Macro, tu in primis». Tutto a posto, quindi? Una questione di punti e virgole? Può darsi, ma sbaglierebbe chi la riduce a una banale storia di disattenzioni e amor proprio ferito.

Il fatto è che dalle parti di via Reggio Emilia non sembrano più sapere a che santo votarsi, dei pochi rimasti in paradiso, dopo la decisione del Campidoglio di sottrarre alla soprintendenza capitolina la gestione della struttura che succhia alle disastrate casse del comune quasi sei milioni di euro – bilancio 2012 – per passarla alle dipendenze del dipartimento Cultura di piazza Campitelli. Una questione di lana burocratese che di fatto azzera il progetto di fondazione di cui si discetta da anni, a rischio di farlo abortire prima ancora che veda fattivamente la luce, come ben paventano gli amici del museo che della fondazione sono i corifèi. A ciò si aggiunga il basso profilo tenuto in tanta incertezza dal museo relativamente alla programmazione, in attesa che al decaduto direttore Bartolomeo Pietromarchi si trovi un sostituto all’altezza. Della successione si parla da tempo, ma a dispetto delle voci poco si raccoglie dalle parti del Campidoglio, se non che sotto l’albero di Natale si troverà, forse, pure il nome del neodirettore. Intanto si tira avanti alla giornata, e in attesa che il Macro faccia tris con Palaexpò e Scuderie del Quirinale nella gestione comunale e se ne definiscano scopi e contenuti, brilla per vaghezza il pensiero e l’azione di chi dovrebbe occuparsene, in primis l’assessorato alla Cultura.

Ma non è solo un problema della Barca, o di chi per lei non riesce a gestire un’agenda degli eventi. È che tutto a casa Marino sembra improntato in termini di beata incoscienza e improntitudine. Di operazioni tanto scombinate quanto controproducenti, anche là dove hanno il non difficile compito di migliorare l’operato della giunta Alemanno. Vedi il caso, per non restare attaccati al Macro, della rimozione del capo dei vigili urbani o l’altro, incredibile nella sua insussistenza, della minacciata abolizione del concorsone per circa duemila impiegati, a prove in corso e assunzioni in parte già fatte. Forse ha ragione chi punta l’indice sui politici di nuovo corso, vacui e incompetenti peggio dei disonesti del vecchio corso, additandoli come i peggiori nemici dei musei d’arte contemporanea, e non solo. Forse si prepara per il Macro un dignitoso affossamento come per il castello di Rivoli, e per Roma un destino peggiore di Torino, o forse no. Intanto, aspettiamo di trovare sotto l’abete di piazza Venezia almeno un po’ di buonsenso.