Arte, vita e natura

Roma

Arte, vita e natura si coniugano nel lavoro di Fiorella Rizzo presentato nella mostra InOltre a cura di Amnon Barzel al museo Bilotti con una selezione di opere dal ’77. L’inizio del suo percorso vede protagonisti i semi come metafora dell’esistenza umana, dell’origine dell’esistenza. L’artista ha posto semi all’interno di sfere di vetro ispirata da un fatto successo in Egitto: dei semi antichi sono stati ritrovati integri durante alcuni scavi archeologici: «Avevano mantenuto la loro vitalità dopo tanto tempo, ciò mi ha fatto riflettere, ho associato questo episodio alla vitalità che anche l’arte conserva attraverso millenni, una riflessione, dunque, sull’arte, la storia, la natura», dice Rizzo. E l’artista incastra i semi nella riproduzione della Melancolia di Durer per ricordare la valenza alchemica della natura che manca nell’incisione del maestro tedesco: “guarda la natura” è una frase della tradizione alchemica. Altra opera in mostra è Genetliaco dell’ ’81-’82: su teste di terra rossa sono conficcate asce che creano delle ferite: «La ferita è un’apertura, le asce un collegamento fra cielo e terra, dunque una dilatazione della mente e un centro ritrovato» dalle parole di Rizzo. Quest’opera è drammatica e dolorosa insieme e va ad indagare il mistero dell’uomo e la sua origine, perché con la terra Dio ha creato Adamo. A Genetliaco si può affiancare Match, opera realizzata fra il ’95 e il 2002: il lavoro è ispirato al calciobalilla, l’artista l’ha trasformato facendo passare le aste di acciaio nelle teste dei giocatori, qui la drammaticità ha un altro statuto, come commenta Rizzo: «È la denuncia del dramma dell’omologazione del pensiero, dell’indebolimento dello sguardo e la fragilità del soggetto». Una serie di fotografie databili fa 2000 e 2002 dal titolo Kaleidoscope raffigurano manifesti sui muri della metropolitana di Londra fotografati dalle finestre dei vagoni: la riflessione è sul guardare e vedere, sono cartelloni che vengono estrapolati dal contesto «fra reale e irreale».

Altra opera realizzata a Londra è la fotografia di una ruota con palline di polistirolo vista nella vetrina di un negozio vicino ad Hyde Park: c’è il riferimento a Duchamp, ma derivato da un incontro concettuale assolutamente casuale. Nel percorso dell’esposizione anche gocce di vetro su fazzoletti appoggiati sul pavimento, lavoro poetico dedicato ai bambini che si trovano in stati dove ci sono guerra e fame. Tornano le terre e i frammenti di vetro in Campana e Porta S.G, in cui la valenza dell’errore nel gioco della campana, gioco cui si ispirano queste opere, porta a riflettere sulle ferite in collegamento mentale con il frammento di vetro; la terra ricorda invece l’infanzia dell’artista, nata in Puglia, e acquisisce così lo spessore della memoria. Rizzo dichiara: «L’atto creativo si coniuga con il processo auto creativo, la memoria valica i confini della storia».

Fiorella, nell’evoluzione del suo lavoro si sofferma sulla luce creando delle lampadine nere su acetati e plastiche, poi accartocciate e infine inserite in contenitori di plexiglass di varie forme e custodie trasparenti per vestiti: la luce viene riportata a segno, viene allo stesso tempo negata e rafforzata, diventa visibile e invisibile. Nautilo è un’installazione creata con boe e cavi d’acciaio, ma all’occhio umano le boe appaiono come bombe creando un inganno visivo mentre i cavi alimentano sinapsi energetiche. L’artista a proposito del pensiero artistico che trasforma una boa in mina dichiara: «Il pensiero può essere minaccioso quando non si conforma, non si identifica, quando sfugge ad ogni omologazione per relazionarsi come vuole e dove vuole oltre le definizioni e i sistemi». Vengono presentate in questa mostra opere con diverse tecniche e diversi stili, ma unite nel concetto di rapporto fra arte e vita e nella tensione «all’infinito nel finito», come dice Rizzo.

Fino al 5 gennaio; museo Bilotti, via Fiorello La Guardia 6, Roma; info: www.museocarlobilotti.it

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