Con gli scarti della società

Nel racconto di Kafka la Metamorfosi il personaggio principale Gregor Samsa viene trasformato in un riluttante scarafaggio, uno scarto della società, un rifiuto che emerge dagli abissi più cupi del reale. La famigerata novella di Kafka rappresenta lo spunto per poter richiamare alla mente il concetto di metamorfosi, quel germe in seno al processo di trasformazione delle cose in cui gli oggetti, le persone, le azioni vengono contaminate, rese qualcosa di diverso dalla loro natura primordiale e che rinascono sotto nuova vita. Hanna Liden, artista svedese trapiantata a New York, protagonista della personale intitolata Diamonds in the Mine alla galleria Lorcan O’Neill di Roma, riflette nei suoi lavori l’esigenza di recuperare nello scarto della società frammenti del quotidiano, oggetti caduti nell’oblio della spazzatura che generano nuove forme plastiche di primitiva memoria.

Le sculture di Liden riecheggiano arcaici prototipi di modellazione della materia in cui l’essenzialità di una roccia, il misticismo a tratti drammatico delle forme denigrano ogni portata classicista come accade ad esempio nell’opera intitolata Venus, una scultura di cemento e poliuretano che rimanda inequivocabilmente all’immagine della statuetta paleolitica conosciuta sotto il nome di Venere di Willendorf. In questa ricerca estetica priva di proporzioni, riluttante nei confronti dei concetti di grazia e misura, l’artista originaria di Stoccolma dà vita ad una sintesi di elementi eterogenei in cui la presenza dello scarto contemporaneo diviene la radice per scovare strutture arcaiche di un’essenza preistorica. Questo primitivismo urbano racchiude in sé gli elementi della quotidianità che ci circonda: lattine di una bevanda, bottiglie di birra, buste di plastica, sono alcuni degli oggetti che confluiscono nelle opere dell’artista che descrive con i suoi lavori una visione critica del mondo contemporaneo. Le statue appese a catene di ferro evocano spazi indefiniti, lasciano lo spettatore come sospeso nell’ambiente circostante, presenze antropomorfe che narrano sentimenti, passioni e incerte identità in cui è possibile intravedere il lato cupo di un’alienazione sociale che investe le odierne società dedite al consumismo.

Scrive Claude Levi Strauss nella conclusione del suo celebre testo intitolato Tristi Tropici: “Questa grande civiltà occidentale, creatrice delle meraviglie di cui godiamo, non è certo riuscita a produrle senza contropartita. Come la sua opera più famosa, pilastro sopra il quale si elevano architetture d’una complessità sconosciuta, l’ordine e l’armonia dell’Occidente esigono l’eliminazione di una massa enorme di sottoprodotti malefici di cui la terra è oggi infetta. Ciò che per prima cosa ci mostrate, o viaggi, è la nostra sozzura gettata sul volto dell’umanità.” Il procedimento estetico di Hanna Liden richiama in parte le parole del padre della moderna antropologia: all’interno della civiltà occidentale vi è la cupa presenza di un sottosuolo celato, quasi invisibile, in quello strato profondo l’artista cerca di ricomporre una vaga umanità che serba nella sua essenza l’indicibile desolazione contemporanea.

Fino al 13 dicembre; galleria Lorcan O’Neill, via Orti d’Alibert 1E, Roma; info: www.lorcanoneill.com