I consigli di Bonami

C’è almeno un valido motivo per leggersi l’ultimo libro dell’arcinoto critico e curatore Francesco Bonami, uscito per l’Electa sotto il titolo di Mamma voglio fare l’artista, che sarà presentato oggi a Venezia alle 18.00 al teatrino di palazzo Grassi. Il testo è corredato da un sommario che recita: istruzioni per evitare delusioni; ovvero che chi scrive e dà consigli su come non fallire come artista è egli stesso un artista fallito. Forse, infatti, non tutti conoscono la precedente carriera creativa di Bonami, che dopo gli studi accademici si lancia a capofitto nella pittura, che però non lo porta alla notorietà sperata. Mollare baracca e burattini è un passo fatto di niente che lo conduce dall’altra parte della scrivania, dove più dotato (o più fortunato), l’ex giovane artista colleziona una carriera a dir poco invidiabile. E ora, appunto, dall’alto della vetta conquistata, dispensa consigli su come raggiungere il successo che a lui non è stato dato. Una lancia, comunque, va spezzata in favore del critico: di tutto questo non fa mistero fra le pagine del libro che, anzi, diventano specchio per raccontare la sua precedente avventura artistica.

Ma la domanda rimane: perché si dovrebbero ascoltare i consigli di un fallito? Due le risposte possibili, entrambe valide: perché è solo perdendo che si capiscono i propri errori e si invita a non farli e perché (la più convincente) Bonami ora è uno dei critici d’arte più influenti al mondo. Ciò detto, il testo non aggiunge niente di nuovo a quello che fin qui si è pubblicato sull’argomento. Il particolare del saggio risiede nel continuo riferimento alle esperienze dell’autore. Ogni dritta è accompagnata da una storia (reale o presunta tale) che aiuta a non fare del testo un compendio di regole più o meno fisse da seguire. Anzi, quello che propone il critico è un racconto di formazione che prende le mosse dalla scelta di essere o meno un’artista. Alla domanda se artisti si nasce o si diventa Bonami glissa e scarica la responsabilità della decisione al tempo, che con il massimo impegno del soggetto aspirante creativo la fa da giudice. Una decina d’anni sono più che sufficienti per vedere se si è intrapresa la giusta strada, perché se dopo quel periodo l’unico pubblico è ancora composto da parenti e amici allora forse vanno riviste le premesse, ma l’unico modo per scoprirlo è, appunto, provarci.

Nei dieci anni di prova si entra in contatto con curatori, critici, giornalisti e quant’altro giri intorno a questo mondo. Il consiglio per le relazioni pubbliche dello scrittore è sempre lo stesso: essere presente ma non petulante, arrivare allo stalking con il gallerista di turno che promette (ad altri evidentemente) gloria e ricchezza raggiunge solo l’effetto contrario. E poi per il successo ci vuole l’idea (e qui tira fuori la storia di Duchamp, dell’orinatoio, ecc.) e non bisogna essere invidiosi di chi, casomai con meno tecnica, colleziona più personali, perché è nel concetto che risiede l’arte. Bonami conduce per mano l’aspirante artista alla sua prima mostra, ragiona sui meriti e i demeriti di una partecipazione alla Biennale di Venezia, sulle prime delusioni fino ad arrivare al successo che conduce a una vecchiaia noiosa usata per raccontare i fasti andati.

La natura di questo saggio, infine, la spiega lo stesso autore, quando parlando del ruolo che dovrebbe avere un’artista nel mondo, in realtà esprime un’idea che può essere applicata non solo al testo in questione ma a tutta la carriera del critico. Scrive Bonami rivolto al creativo: “Il mondo non è come casa vostra, che potete arredare come una caverna, come un palazzo barocco o come una navicella spaziale. Il mondo è di tutti e se volete arredarlo con la vostra arte, dovete creare qualcosa che possa essere accessibile al numero più alto di persone possibile.

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