Il canto delle strade di Ny

Nel 1980 in un salone di massaggi abbandonato tra la 41esima strada e la 7ma avenue, oltre cento artisti decisero di organizzare a New York, nei pressi di una sporca e desolata Times square, una mostra rivoluzionaria e di rottura che avrebbe di lì a poco sdoganato uno dei fenomeni più controversi dell’arte contemporanea: i graffiti. Il Times square show fu un evento organizzato dal Collaborative project, usualmente noto come Colab, un collettivo nato nel 1977 che per oltre dieci anni si impegnò politicamente attraverso manifestazioni artistiche, performance ed esibizioni. L’esposizione nata nei pressi di Times Square annoverava tra gli artisti presenti nomi dal calibro eccezionale: Keith Haring, Jenny Holzer, Jean-Michel Basquiat, Kenny Scharf e writers come Lee Quinones e Fab 5 Freddy.

Il clima culturale newyorkese di quegli anni si può riassumere attraverso le parole di una delle protagoniste dell’evento, l’artista Jane Dickson: “C’era questa intensa energia vertiginosa a New York in quel momento. Ci fu una grande insurrezione che partì dalla scena dei club gay, la gente si spingeva oltre i confini. New York era in bancarotta ma a nessuno sembrava importare. Ti sentivi come se fossi libero di fare qualunque cosa, le persone non si curavano di quello che accadeva. In quel periodo vivevamo nel nostro personale parco giochi”. Le parole di Dickson rappresentano l’incipit ideale per introdurre il lavoro di Martha Cooper, la fotoreporter che ha immortalato nei suoi scatti la Grande mela di quel tempo, che ha documentato il fenomeno dei graffiti attraverso generazioni di writers che si sono succedute nella città.

Martha Cooper nasce nel 1940 a Baltimora, i suoi reportage hanno avvio grazie alla collaborazione con il New York Post. Alla fine degli anni ’70 comincia la sua attività di documentazione dei fenomeni di arte urbana, inizia a seguire gli artisti più importanti della scena e a testimoniare i cambiamenti di una città in evoluzione, una New York pericolosa con un alto tasso di delinquenza ma che custodiva in seno al suo tessuto urbano forme rivoluzionarie di espressioni artistiche contemporanee che di lì a poco avrebbero germinato nel resto dell’occidente. Cinquanta anni di carriera, segnati dalla volontà di catalogare e archiviare molteplici forme di espressioni artistiche, un’esigenza che nasce anche dalla natura transitoria ed effimera dei graffiti, cui solo la fotografia può in un certo senso salvarne la memoria.

Street signs, la mostra che ha inaugurato a palazzo Incontro a Roma, organizzato dall’urban festival Outdoor, presenta al pubblico gli scatti della Cooper, un viaggio suggestivo attraverso decenni di cultura metropolitana, dalla fine degli anni ’70 fino ai nostri giorni dove il fenomeno della street art, con artisti come JR, Obey, Space Invader rappresentano l’evoluzione contemporanea del graffitismo. Rimangono pietre miliari gli scatti che immortalano artisti come Dondi: la foto che lo ritrae in bilico a dipingere tra due treni rappresenta il manifesto di una generazione di writers, in quella posa, catturata dalla fotografa di Baltimora, è espressa tutta la tensione, il pericolo, l’irriverenza del fenomeno, quel gesto nato nell’illegalità è la chiave di lettura per comprendere a fondo il lavoro di Martha, un testamento visivo per le future generazioni.

New York oggi è una città diversa, ripulita a fondo negli anni ’90 dalla politica di tolleranza zero dell’ex sindaco Giuliani, non è più la metropoli sporca e pericolosa dove tutto era consentito, quel parco giochi libero e senza regole documentato da Martha Cooper non esiste più e forse per questo che il fascino che serbano gli scatti della fotoreporter ci immergono in quel sentimento di ribellione che in ultima istanza fu il motore innescante del graffitismo.

Fino al 29 settembre; palazzo Incontro, via dei Prefetti 22, Roma; info: www.out-door.it

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