Abituati alla spregiudicatezza e all’eccentricità di alcuni noti nomi dell’arte cinese contemporanea, quali Ai Weiwei e Zhang Huan e alle grandi dimensioni delle loro opere, restiamo stupiti di fronte alla riservatezza dei dipinti in mostra al Vittoriano fino al 27 settembre per l’esposizione Visual China. D’altronde, come spiega il critico Yang Xiaayan “La pittura a olio è nata in Cina più di cento anni fa”. Non è dunque soltanto prerogativa dell’arte europea, e più in generale occidentale, ma ha radici anche nell’esperienza artistica orientale e diventa oggi una forma d’arte che collega strettamente la realtà e l’estetica cinese di oggi.
Nell’esposizione, curata da Claudio Strinati e Nicolina Bianchi, undici personalità dell’arte figurativa cinese contemporanea si svelano al pubblico in tutta la loro originalità e al contempo tradizione. Portando con sé gli influssi derivati da una storia millenaria che ha visto alternarsi imperi e dinastie, le opere di questi artisti raccontano il fascino del realismo orientale visto con gli occhi dei pittori di oggi. Accumunati dall’esigenza di rappresentare la realtà fedelmente, sebbene con tecniche e modalità disomogenee, questi creativi si fanno rappresentanti di una produzione pittorica di elevata qualità. Di fronte a queste tele, noi occidentali, non possiamo far altro che ritrovare noi stessi e le vestigia del nostro passato, scoprendo indubbie analogie con il realismo ottocentesco e la pittura paesaggistica, che hanno segnato la storia artistica europea. Eppure il segno inequivocabile di una cultura lontana anni luce dalla nostra, marchia a fuoco queste tele. La giusta analisi di Xiaayan raccolta nel catalogo della mostra fa emergere come la società occidentale si sia orientata, in un certo momento storico verso quella orientale, spinta da una voglia di rinnovamento artistico e culturale che l’occidente non era più in grado di offrirle. Così ha fatto l’arte cinese che, al contrario, dopo l’emersione economica di questo paese, ha ricercato il proprio interesse nell’osservazione degli oggetti in modo realistico, spostandosi verso un figurativismo di natura più intimista.
Citazioni colte e rimandi familiari si possono trovare nella serie di Pang Maokun, Fiori nello specchio, in cui intervengono divertenti giochi di riflessi di quadri nei quadri, che diventano vere e proprie scatole cinesi, mentre soluzioni inedite provengono da Ma Lin che incastona all’interno di installazioni in legno i suoi dipinti, come fossero video incorniciati da box. Se il tratto graffiante di alcune opere di Chen Zijung ricorda l’informale, l’iperrealismo di Leng Jun si sofferma sulla fedeltà assoluta e minuziosa del dettaglio. Caricaturali e grotteschi i personaggi di Xin Dongwang rappresentano teppistelli adolescenti e volti poco rassicuranti della variegata composizione sociale cinese contemporanea. Ciò nonostante, questi pittori sono portatori di un gene artistico che, più che innovativo, si potrebbe definire insolito con tratti di una tradizione poetica e influssi di carattere più occidentale. Il salone centrale dello spazio espositivo è impreziosito da grandi dipinti di figure femminili, primi piani evanescenti e romantici di bellezze ieratiche e nostalgiche.
Il catalogo dell’esposizione, buon compendio alla mostra, è interessante nella sua fattura, ricco di immagini ma, ahimè, singolare nella scelta discutibile di colori fluorescenti che rendono la lettura difficoltosa.