L’ ombra verde di Nagasawa

Hidetoshi Nagasawa è fra gli scultori internazionali giapponesi più noti. Vive in Italia dal ’67, ma ancora prima ha attraversato esperienze di vita che lo hanno formato come uomo e come artista. Nato in Manciuria nel 1940 è costretto a fuggire quando le truppe sovietiche alla fine della seconda guerra mondiale hanno invaso quella regione intraprendendo un viaggio che lo ispirerà nella sua produzione scultorea. Trasferitosi in un paese vicino Tokyo ha studiato architettura e design mentre coltivava la passione per l’arte che lo ha avvicinato al gruppo Gutai. A ventisei anni la svolta decisiva: un viaggio in bicicletta in cui ha attraversato tutta l’Asia fino alla Turchia proseguendo per la Grecia e poi verso Brindisi, Napoli, Roma, Firenze, Genova e Milano, dove si è appunto fermato nel ’67. La prima mostra è del ’69 alla galleria Sincron di Brescia, mentre è in contatto con Castellani, Nigro e Trotta. In questo periodo sviluppa un linguaggio che si rifà al concettualismo, con esperimenti verbali, video e azioni. È nel ’72 che inizia la sua carriera di scultore: tutto ciò che ha intensamente vissuto si esprime con una poetica che unisce Oriente e Occidente nella declinazione dei miti e delle religioni, nella creazione di un ponte fra le due culture, e persistente è l’idea del viaggio soprattutto attraverso l’imbarcazione, mezzo privilegiato della sua fuga dalla Manciuria; possiamo ricordare Piroga, che richiama le navi preistoriche e che è stata esposta alla biennale di Parigi del ’73, e Barca che ha al suo interno un salice che nasce dalla terra. Il suo percorso è puntellato di evoluzioni: dagli anni ’80 crea opere che coniugano scultura e architettura nella ricerca di superamento delle leggi fisiche e di gravità, mentre dagli anni ’90 la sua attenzione si incentra anche sull’idea del giardino e del recinto nella realizzazione di paesaggi e luoghi che scaturiscono prima di tutto dall’immaginazione.

Oltre alle molteplici personali cui l’artista ha partecipato, molte sono le sue installazioni permanenti. Mercoledì 4 settembre si è svolta la presentazione del catalogo Nagasawa Ombra verde, al Macro di via Reggio Emilia di Roma, relativo all’omonima mostra in corso nel museo fino al 15 settembre ed edito all’interno della collana Macro-Quodlibet. Il titolo di mostra e catalogo è ispirato ad una delle sette opere esposte. Il libro documenta parte della produzione dell’artista con un ampio apparato iconografico e i testi di Bruno Corà e Aldo Iori, curatori della mostra, insieme ai contributi critici di Jole De Sanna, Toshiaki Minemura e Bartolomeo Pietromarchi. Bruno Corà ha introdotto il dibattito sottolineando che: «l’opera di Nagasawa si può leggere come interpretazione di una legge scoperta nella natura plasmando e rielaborando il fenomeno come succedeva nell’arte antica, nell’arte degli antichi maestri che individuavano una legge naturale per trasformarla in opera, l’artista unisce tutto ciò alla creazione contemporanea.» Poi lo pone quale erede di Arturo Martini insieme a Luciano Fabro, con cui Nagasawa ha stretto un sodalizio. Corà continua parlando di: «scultura estensiva, di scultura come luogo dove si esercitano forze coniugando la cultura giapponese con la cultura occidentale, nella ricerca di uno spazio ulteriore attraverso l’intuizione bilanciata dalla disciplina». Prosegue Aldo Iori che descrive l’opera dell’artista con la: «Levità del contatto: intendendo per levità il galleggiamento delle cose che non sono gravi e per contatto la prassi nell’uso delle mani, attraverso le quali uno scultore si trova ad agire». Per Iori, Nagasawa lavora «nell’intervallo, nell’intercapedine spazio-temporale e mentale. Il suo spazio è relazionale, nella relazione degli elementi con l’essenza secondo natura, fra finito e infinito, visibile e invisibile, pieno e vuoto». Sono intervenuti anche Toyama Koichi, Tommaso Trini e Giacomo Guidi. Infine Hidetoshi Nagasawa ha parlato dell’origine della sua ispirazione: «è un viaggio mentale al confine fra due mondi, ogni viaggio porta un’idea e una sensazione. Realizzo l’opera in un luogo che è uno spazio-tempo».

Fino 15 settembre; Macro, via Reggio Emilia 54, Roma. Info: www.museomacro.org

 

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