Voyeurismo alla Biennale

Partiamo da una definizione, quella di voyeurismo. Chi lo pratica è un osservatore che prova eccitazione nel vedere persone nude, seminude o impegnate in un rapporto sessuale. Insomma una pratica abbastanza diffusa ma della quale non sappiamo né in che modo né tantomeno in che misura. Sappiamo cos’è, ma come e quando si svolge lo sa solo chi esercita. Ora proviamo a immaginare una scena. Ovvero quella in cui due persone alle prese con la loro intimità sono, senza saperlo, osservate. È complicato, oltre che compromettente, potremmo scoprire di essere a nostra volta dei voyeur. Eppure qualcuno non solo lo ha immaginato, ma ha immortalato non uno ma tanti cultori della materia. E non è neanche una cosa recente. L’artista in questione, Kohei Yoshiyuki lo ha fatto nel lontano 1970 quando alcune cose erano davvero dei tabù e molti si rifugiavano nei parchi per un’ora d’amore. Succedeva, per esempio, nei parchi giapponesi. Al calar della luna si svolgevano cose strane. Lui, osservatore degli osservatori ha immortalato momenti di grovigli umani, dove il sesso veniva trasformato in spettacolo, e le coppie diventavano attori inconsapevoli e complici. La serie The Park (1971 – 79), in mostra niente poco di meno che alla 55esima Esposizione internazione d’arte di Venezia, sono una sequenza accattivante di scenari notturni strepitosi.

Un gioco formidabile quello di Yoshiyuki che non ha ceduto al peccato dell’inibizione ma ha indagato fino a scarnificare la sua e altrui perversione. Perché sì, diciamolo pure siamo davanti a immagini che svelano un’intimità condivisa, che raccolgono una la folla. Se sulle altre opere il visitatore scorre rapido, su di lui e sulle sue foto, su quelle scene tutti buttano un occhio in più, tutti guardano in modo fintamente distratto una sequenza di situazioni che distillano tutto l’istinto umano e che paradossalmente, ma forse neanche troppo, ci fanno sentire o meglio scoprire quel piccolo voyeur che è in noi. La capacità di questo artista che non ha fatto mistero di questa sua tendenza a indagare aspetti dell’umanità che tendiamo a occultare è quella di restituirei una definizione di tabù sotto forma d’arte. L’intreccio di mani che vanno ad invadere quello che per definizione è uno spazio privato, un momento intimo e chiuso sono restituite sotto forma di opera e come ricerca profonda. Yoshiyuki è riuscito a oltrepassare il privato, rendendolo di dominio pubblico. Un percorso che ha trovato ulteriore risposta nella serie Hotel dove l’indagine si espande all’immagine stessa. In Giappone i Love hotel sono luoghi destinati agli incontri veloci e passeggeri. Lui quegli incontri li ha fissati in immagini sgranate che rendono perfettamente l’idea della fugacità e del segreto. L’immagine indefinita spinge a tentare di capirne i contorni, di tracciarne la forma mentre due persone si stanno amando o stanno semplicemente facendo sesso. E noi lì, a guardare.