Lo scrittore Ugo Riccarelli è morto ieri a Roma, a causa di una malattia che lo affliggeva da tempo. Solo pochi giorni fa il nostro giornale si era occupato di lui parlando della cinquina dei finalisti al premio letterario Campiello, di cui Riccarelli faceva parte con il suo L’amore graffia il mopndo (Mondadori). E proprio questa drammatica coincidenza adesso invita gli organizzatori del Campiello a una triste riflessione: se considerare il romanzo di Riccarelli ancora in corsa per la finalissima del 7 settembre alla Fenice di Venezia oppure no. Oggi la riunione decisiva. Ma qualunque sia la decisione, il Campiello e il mondo intellettuale italiano restano orfani di un grande interprete contemporaneo, dotato di una sensibilità e uno stile fuori dal comune. Un artista versatile, sensibile e attento, che, come testimoniava il suo ultimo libro, era capace di esprimere con la sua opera una grande umanità e una profonda delicatezza.
Riccarelli era nato a Ciriè, in provincia di Torino, figlio di genitori di origini toscane, aveva frequentato la facoltà di Filosofia all’università di Torino. «Nel 1985 – scriveva sul suo blog – ho iniziato il mio percorso di emigrante al contrario, cominciando a scendere a Sud, verso Pisa dove ho vissuto per 16 anni continuando a occuparmi di teatro. È di questo periodo la collaborazione con Il Teatro del Te’ diretto da Claudio Neri, con il quale ho realizzato Tango delle notti bianche e Garrincha. Mi sono occupato di comunicazione e sono stato addetto stampa al comune nell’ufficio stampa più letterario d’Italia diretto da Athos Bigongiali. Nel 1998, infatti, io vinsi il Selezione Campiello e lui entrò in cinquina al Viareggio». Nel 2002 si trasferisce a Roma, lavorando nello staff del sindaco Veltroni prima e con il Teatro di Roma poi. Autore prolifico e di successo. Ha vinto il premio Chianti nel 1996 con Le scarpe appese al cuore, la selezione Campiello nel 1998 con Un uomo che forse si chiamava Schulz e lo Strega nel 2004 con Il dolore perfetto.
