Biennale, un segnale per il paese

Se i segnali hanno ancora un valore, da Venezia ne arriva uno importante: la 55esima edizione della Biennale d’arte racchiude in sé tutti i presupposti per essere un successo e diventare un paradigma per l’auspicata e tanto attesa palingenesi culturale di questo Paese.L’input derivante dai due direttori, Massimiliano Gioni per la Biennale e Bartolomeo Pietromarchi per il padiglione Italia, giovani, qualificati, cosmopoliti, ha prodotto un output superiore alle aspettative e sintetizzabile in tre aggettivi: varietà, innovazione, qualità. Come sempre si potrà discettare su quell’esclusione e quella inclusione semplicemente perché tutto ciò è nell’ordine delle cose. Ma alcuno può negare che l’edizione odierna della Biennale può essere iscritta tra quelle di pregio nella centenaria storia della manifestazione. E una fetta cospicua di questo merito va certamente ascritta alla presenza del padiglione del Vaticano, un’evenienza straordinaria certo per qualità dei contenuti ma soprattutto per il suo alto valore simbolico. L’arrivo della Santa sede a Venezia ricuce infatti una ferita tra arte e fede rimasta troppo a lungo senza cura. Il merito è certamente del cardinale Gianfranco Ravasi, un intellettuale di rara raffinatezza, che ha finalmente riportato la cultura al centro delle attività vaticane e che per questa sua dichiarata missione ha potuto contare sul sostegno degli ultimi tre papi. Questa è l’Italia che vogliamo. I giovani di talento, con uno sguardo intelligente, libero, proiettato al futuro ma non dimentico della tradizione e del passato, affiancati dal pensiero profondo e trascendente della chiesa. Ripartiamo da qui: che Venezia 2013 sappia ispirare altre piazze e altre menti verso quel risorgimento culturale che è l’unica prospettiva seria rimasta all’Italia. Il nuovo ministro della Cultura Massimo Bray e le sue due sottosegretarie, Ilaria Borletti Buitoni e Simonetta Giordano, hanno le competenze per far bene. Abbiano il coraggio di osare, di rompere muri e tabù. Trasformino la precarietà della politica in una occasione per fare quello che non è stato fatto fino ad oggi.