Die Antwoord a villa Ada

Si autopresenta Dub Fx. Appena sale sul palco dice qualcosa come «Ciao sono Dub Fx e faccio human beat box». Lo dice in italiano, tanto che tutti credono essere un nostro connazionale. Poi confessa e ammette di avere la madre italiana e il padre australiano. Per la precisione aggiungiamo, madre toscana, notato il forte accento aspirato che alla lunga, dato lo sforzo di una lingua poco usata, cedeva il passo alla tipica calata italiana da statunitense. Così, con quel miscuglio d’accenti presentava le sue canzoni a metà fra la dub, il reggae e dove la maggior parte delle basi venivano registrare in diretta con la sua sola voce filtrata dai pedali. Accanto a lui sulle scene uno scatenato personaggio poi rivelatosi il suo manager. Cambio palco di qualche minuto. Silenzio prima che le casse ricominciano a mandare note, un intro lunghissimo aumenta l’attesa per i Die Antwoord (i rapper Ninja e Yo-Landi Vi$$er). Il primo a palesarsi è il Dj seguito poi dai due componenti del gruppo. Villa Ada da quel momento e per un’oretta si trasforma in una discoteca a cielo aperto dove i sudafricani, accompagnati da ballerini, diventano sacerdoti di riti dionisiaci. Prima del bis (la famosissima Enter the Ninja) una voce fuori campo dice: «Da piccolo volevo essere Ninja, ora sono un uomo e sono Ninja».