Con Yoko Ono per crescere insieme

Venezia

Guidata da un desiderio di fare del bene alla società, Yoko Ono (Tokyo, 1933) lavora su opere – idee, performance, sculture, installazioni, musica – che affrontano gli effetti dei sentimenti umani, permettendo al visitatore di vedere la realtà sotto una nuova luce. L’ultimo suo lavoro Arising è stato presentato alla 55esima Biennale di Venezia a palazzo Bembo come parte della mostra Personal structures, curata da Karlyn De Jongh e Sarah Gold. Ecco l’intervista rilasciata alle due curatrici.

Sarah Gold: Yoko Ono, è un grande onore ospitare nella nostra mostra Personal structures il tuo lavoro Arising. Credo che quest’opera sia un’incredibile opportunità per le donne di esprimere le loro esperienze e questo sembra confermato dalla reazione che stiamo riscuotendo: donne da tutto il mondo mandano lettere e contribuiscono alla mostra stessa scrivendo le loro storie dietro al desk che hai posto a palazzo Bembo. Sembra che questo le aiuti a esprimersi e a condividere qualcosa che gli appartiene. È come se si fosse aperta una porta anche alle donne che non hanno ancora partecipato al tuo lavoro. «Sono molto contenta di presentare il mio lavoro qui. È molto importante raggiungere altre donne. A volte in passato ho temuto che mi stessi dimenticando degli uomini. Ma poi riflettevo e mi convincevo che era basilare iniziare dalle donne perché sono proprio loro che hanno difficoltà da 2000 anni. In tutto questo tempo la società è stata maschilista ed è giusto porre l’attenzione su quello che le donne hanno attraversato. È stato molto bello ascoltare le loro storie e non mi aspettavo che questo potesse aprire una porta così grande. Ora la porta è aperta! E ci sono molte donne che hanno qualcosa da dire. Stanno venendo a palazzo Bembo, è una cosa grandiosa: è come se l’intero universo femminile stesse cogliendo l’opportunità di dire qualcosa. Una parte del mio lavoro consiste nel chiedere alle persone una partecipazione concettuale, ma un’altra parte richiede una partecipazione fisica, per questo è importante lo scambio. Sono convinta che un lavoro di questo tipo possa aiutare un po’ il mondo. Quando ho iniziato pensavo che avrei ricevuto solo una ventina di lettere».

Karlyn De Jong: E invece la risposta è stata travolgente. Hai ricevuto moltissime lettere e c’è ancora molto tempo prima che la Biennale finisca. «Già, non appena abbiamo aperto il nostro sito www.imaginepowerarising.com, ben 84 donne hanno mandato immediatamente la loro storia. In quel momento mi sono chiesta cosa stessi facendo. E ho pensato che realizzerò un libro come testimonianza dei diritti delle donne nella società».

KDJ: Yoko, per Arising hai anche chiesto alle donne di mandarti foto dei loro occhi. Perché desideri connettere l’immagine visuale della persona con la sua storia? E perché proprio la foto degli occhi? «La ragione di questa scelta è da ricercarsi nel pericolo che molte donne corrono nel raccontare la loro verità. Il mio è un desiderio di proteggerle. Non possiamo rivelare la loro identità svelando il loro volto, altrimenti alcune di loro potrebbero essere attaccate nuovamente. Spesso osservando i loro occhi mi sono resa conto di quanto alcune di loro abbiano sofferto. I drammi che alcune di loro hanno attraversato sono visibili solo guardandole negli occhi. Questa condizione rivela quanto la donna oggi sia minacciata e spaventata. In quanto esseri umani naturalmente siamo spaventate, ma noi donne dobbiamo proteggerci a vicenda».

SG: Cosa vuol dire il titolo dell’opera che hai scelto: Arising? «Significa che noi donne stiamo crescendo insieme. Arising esprime la crescita del nostro spirito».

KDJ: Arising adesso viene presentato a Venezia, una città visitata da decine di migliaia di turisti ogni giorno. Perché hai scelto proprio Venezia come sede della mostra del tuo lavoro? «È semplicemente accaduto. Alcuni dei miei lavori hanno una sorta di forte fede. Ho scoperto che è molto difficile comunicare qualcosa bruciando dei corpi femminili fatti di silicone. Mi sono chiesta più volte se avessi sbagliato. Ma credo di no. Se si osserva l’opera con il video ci si accorge che era molto importante che la location della mia opera fosse proprio Venezia. Il suono che si sente nel video è la mia voce dall’album del 1996, Rising. La registrazione è di circa 14 minuti dall’inizio alla fine. Non l’ho ritoccata, non ho fatto editing. Ho creato quel testo molti anni prima di Arising ed è entrato perfettamente nella mia opera, sia per la sua lunghezza sia per il significato».

SG: Qual è secondo te la relazione tra Arising e il tuo album Rising? Perché pensi che i due lavori combacino perfettamente? «Rising spiegava alla gente che era il momento di alzarsi e lottare per i nostri diritti. Ma in questo processo le donne sono ancora tenute ai margini e questa condizione indebolisce sia gli uomini che le donne. La mia speranza è che Arising risvegli la forza delle donne e le faccia guarire insieme agli uomini. È molto particolare il modo in cui Rising è nato. Lo stavo realizzando insieme a mio figlio e a un suo amico. In quel periodo mio figlio era un teenager e l’accoppiata con il suo amico era davvero difficile da gestire. Più volte mi sono domandata: ma cosa sto facendo? Posso fidarmi di loro nella registrazione del disco? E allora ho proposto di creare un’armonia e suonare tutto dall’inizio alla fine, senza pause, e alla fine il risultato è stato sorprendente, senza editing e senza prove. Credo che sia stato importante per me realizzare quel disco perché rivela la mia vera voce, quella di una donna che ha sofferto molto. Il motivo per cui ho deciso di dare sfogo alla mia vena vocale per dire ciò che pensavo risale alla mia infanzia. Ricordo un particolare aneddoto: mia madre mi diceva di non avvicinarmi alla stanza dei domestici perché avrei ascoltato cose che non dovevo sapere. Ma non potevo resistere e una volta mi sono avvicinata di soppiatto alla loro camera e li ho ascoltati mentre una donna parlava della gravidanza di una parente e delle grida di sofferenza urlate durante il parto. Ricordo che mi spaventai e ritornai nella mia stanza. Solo anni dopo ho riflettuto e ho capito il senso di quella storia. Effettivamente nella società le donne piacciono per il loro bel volto, per la loro grazia e la loro voce delicata quando cantano. Questi sono gli stereotipi che vendono di più, perché nessuno acquisterebbe mai un disco di una cantante che rappresenta la donna con il suo volto più aggressivo e rabbioso. Proprio per questo, invece, ho pensato di raccontare al mondo che la donna non è solo l’immagine della bellezza e della delicatezza, ma che anzi è la creatrice della razza umana. Noi abbiamo generato i nostri figli e il parto è un atto estremamente difficile e drammatico, in cui le donne tirano fuori, anche attraverso le urla, la loro vera natura. Molte donne sono anche morte nell’atto di generare la propria creatura. Si tratta di una cosa molto importante e allo stesso tempo pericolosa, non è per niente un’azione carina e delicata. È uno di quei momenti in cui le donne tirano fuori la loro forza, una forza maggiore di quella di un terremoto. Ogni bambino che viene al mondo influenzerà la nostra società».

KDJ: Quando abbiamo bruciato i corpi di silicone per il tuo lavoro siamo andati con un gruppo di persone in un’isola della laguna di Venezia. C’erano anche molti uomini con noi e abbiamo avuto l’impressione che tutti, uomini e donne, siano stati molto colpiti da quella performance. «Certo, sarebbe ingeneroso dire che agli uomini piacciono solo le voci femminili aggraziate. Loro non sono nessuno senza le donne e quando gli metti davanti questa realtà iniziano a capire. Ci sono anche molti uomini, che io chiamo new age, solidali con questo nostro sentire e con le nostre difficoltà. John Lennon era proprio uno di questi e diceva spesso di sentirsi solo in questa sua convinzione. Ci sono sempre più uomini new age e questa è una cosa molto bella. Quando a New York vado al Central Park vedo molti uomini spingere il passeggino. Oggi questa è un’immagine a cui siamo abituati ma quando John lo faceva, tanti anni fa, non lo faceva nessuno. Nessun uomo voleva farsi vedere con un passeggino. Sono molto felice che adesso sia diventata una cosa normale. E ringrazio John per essere stato così coraggioso».

SG: Pensi che affrontando queste tematiche nella tua opera e chiedendo alla gente di partecipare e contribuire alla tua realizzazione riuscirai a educare la società? «Ne sono convinta. Più si partecipa, più si rende la cosa normale. È diventato normale che le donne siano forti. In passato eravamo molto spaventate di apparire forti e ci siamo fatte piccole. Io stessa ho fatto me stessa molto piccola. In Cina, per esempio, c’era una tradizione che rappresentava questa nostra tendenza a rimpicciolirci: le donne venivano costrette a fasciare i loro piedi per renderli minuscoli. Abbiamo sofferto molto, piangevamo molto per il dolore. Questo è solo un esempio di quanto male la società abbia fatto alle donne. Ora le cose stanno andando molto meglio ma dobbiamo capire che ci sono anche uomini che hanno sofferto. Basti pensare alle due guerre mondiali. Ho letto molti libri su queste due guerre, per esempio, e di come molti uomini siano stati sfigurati dalle bombe e dalle esplosioni. Spesso gli uomini hanno difficoltà a parlare dei loro drammi perché devono salvare la loro apparenza di “machi”, ma in realtà spesso si sentono molto soli. Noi donne li rendiamo solitari, in questo senso. Per questo il mio lavoro Arising è diretto anche agli uomini».

KDJ: Ho avuto la sensazione che le donne si sentano realmente parte del tuo lavoro. È come se riescano a condividerlo. Si tratta di una sorta di lavoro di gruppo. «Sì, partecipare raccontando la propria storia è come una terapia. O forse anche meglio perché la terapia si paga e le parole vengono registrate dal medico. Nel mio lavoro invece le persone possono parlare di sé, delle loro emozioni, nella maniera più libera e senza oneri. Sento la forza della gente».

KDJ: Cosa speri per il futuro? «Per il futuro spero sempre nella possibilità di creare una società migliore. Alcuni sono scettici su questo argomento, perché ci sono ancora i conflitti. Ma la questione è: il mondo non è finito. Forse stiamo danneggiando il cielo ma almeno stiamo bene, siamo ancora qui. Non avremo sempre il lusso di concederci pensieri negativi, perché le cose stanno diventando incredibilmente pericolose e complesse. Se vogliamo sopravvivere come genere umano dobbiamo iniziare a essere positivi. Poi potremo protestare».

Traduzione di Alessandro Caruso