Gli S-paesaggi di Mulas

Roma

Disgregazioni molecolari, cromie alterate, paesaggi frammentari che evocano scenari artefatti, intellegibili. La pittura di Franco Mulas raccoglie un mondo disintegrato, cataloga pazientemente geografie artificiali dove l’impatto con la devastazione dell’uomo è ormai un dato reale, un’impronta imprescindibile che ha degenerato irrimediabilmente il mondo esterno. I S-paesaggi di Mulas giocano con il reale per descrivere un futuro forse non troppo distante, l’artista intravede quello che resterà della desolazione e in quale modo l’uomo potrà godere ancora della malinconia di un tramonto o della unicità di un’alba.

La carriera di Mulas comincia all’accademia di Francia dove studia pittura per proseguire in maniera significativa durante la rivoluzione del ’68, i suoi dipinti del ciclo Occidente sono dedicati alle contestazioni del maggio francese. Si susseguono molteplici progetti che porteranno l’artista a esporre alla biennale di Venezia per la prima volta nel 1980 dove presenta la sequenza di quattro quadri intitolata l’Albero rosso di Mondrian. Quel sentimento di disgregazione comincia proprio attraverso questa serie, Mulas dichiara di aver cominciato in quei dipinti a germinare un sentimento di scomposizione fossile della natura che lo ha portato dopo più di trenta anni a concepire una pittura dedita ad archiviare la frammentazione del presente.

«Le mie opere degli anni Ottanta – sottolinea il maestro – costituiscono la premessa storica delle frammentazioni paesaggistiche che descrivo oggi con i miei dipinti. La mia ricerca parte dall’accorata perdita di centralità della natura, i colori che utilizzo provengono dalle odierne forme di interazione, sono le tinte a cui il nostro occhio è abituato, rappresentano le cromie artificiali dello schermo del computer, tonalità inimmaginabili per un artista che dipingeva nell’Ottocento». Il lessico di Mulas si cosparge di una contemporaneità affetta da patologia, si mischia a un presente che è mera articolazione di un futuro declino, una lenta agonia inesorabile. Eppure di questo disastroso avvenire sembra esserci nelle opere dell’artista un indugio, la sensazione, o forse meglio chiamarla speranza, che non tutto è perduto, che quei bagliori di luce, quei sentimenti cromatici svelino ancora la bellezza di un mondo possibile e ritrovato. Nella natura nasce l’illusione che l’uomo può ancora godere dello spettacolo del mondo, in quelle pennellate vivaci, dirompenti, sboccia la persuasione di poter salvare l’idea di una ricostruzione, di un rinnovamento che l’artista traduce nel suo linguaggio figurativo attraverso le espressioni della propria coscienza. La pittura di Mulas non seduce lo sguardo, non ammicca allo spettatore ma è semplicemente la consapevole costatazione di una realtà in divenire, quei s-paesaggi, dalla esse privativa, scaturiscono percezioni contrastanti laddove lo sguardo dell’uomo s’interroga sulle proprie scelte, su di un futuro che non può rassegnarsi alla disgregazione.

Fino al 8 settembre; museo Carlo Bilotti, viale Fiorello La Guardia 6, Roma; info: www.museocarlobilotti.it