Fuori dal bar Jamaica accanto all’accademia di Brera, luogo di ritrovo per eccellenza degli artisti milanesi, nel 1987 il torinese Aldo Mondino si faceva immortalare sorridente in sella a un dromedario, proprio come in una cartolina. Niente potrebbe raccontare meglio l’animo vagabondo e ironico di questo maestro, se non affidando la narrazione alle sue opere ora esposte, a distanza di 23 anni dall’ultima personale, nel medesimo luogo: la fondazione Mudima. L’antologica, Aldo Mondino. Nomade a Milano, curata da Achille Bonito Oliva, mette l’accento proprio sul carattere di viaggiatore dell’artista. Il percorso espositivo si snoda così dalla scultura di una Tour Eiffel, vero e proprio assemblage dei più disparati oggetti del suo studio uniti a formare un ironico omaggio al simbolo della capitale francese, dove Mondino soggiornò tra il 1959 ed il 1960. Insieme alla scultura bronzea Arabesque, l’ingresso alla mostra è segnato dalla presenza di Ittiodromo una potentissima installazione del 1967 che accosta uno scivolo per bambini a un vero pesce di grandi dimensioni lasciato lì a sgocciolare sulla superficie.
Dal 1963 i temi del gioco e dell’infanzia diventano elementi costanti in una ricerca artistica che incomincia a fare della relazione col pubblico uno strumento fondamentale. La riflessione sulla storia della pittura si unisce a questa dimensione partecipativa che sarà da qui presente in tutta la sua opera successiva e che si spingerà fino a sperimentazioni più radicali quali l’uso di materiali extra-pittorici, effimeri e talvolta edibili. Lo testimonia ad esempio l’installazione Muro del Pianto fatta di zucchero e costruita nel cortile di Mudima. Su una grande parete, sono esposti i celebri Tappeti realizzati su eraclite, dai colori brillanti che richiamano il fantasmagorico clima di suk medio-orientale. La mostra indaga così anche quella parte della ricerca artistica contaminata dalle suggestioni orientali ed esotiche immagazzinate nei tanti viaggi dal Marocco alla Palestina.
Presenti in quest’ottica anche le opere dipinte e dedicate ai Dervisci rotanti: «Evidentemente – spiega il curatore – la pittura meglio adempie al compito di dare apparizione a questa famiglia di figure, presente in un luogo lontano e forse arcaico. Un linguaggio anch’esso che viene da lontano ed ancora interamente fatto a mano e restituisce la cifra temporale di un mondo portatore di un ritmo cadenzato e nello stesso tempo pieno di echi interiori. Il silenzio della pittura rispetta tutto questo».
Fino al 5 luglio; fondazione Mudima, via Tadino 26, Milano; info: www.mudima.net