Generazioni a confronto

Gg son of the south Pr, Gianfranco Grosso vs Paul Russotto più che una semplice mostra è stata una operazione culturale, come l’ha definita la gallerista Rossella Alessandrucci. La serata dell’inaugurazione si è aperta con una videoproiezione a cura di Piero Pala: il film inedito per l’Italia di Emile de Antonio, Painters painting the New York art scene 1940-1970, ha riportato nello spazio della galleria gli echi del mondo vissuto da Paul Russotto, introducendo ai partecipanti gli scenari della fervente vita artistica newyorchese con le parole dei grandi personaggi dell’epoca. Al termine del video, Gianfranco Grosso ha scoperto l’opera Corksrew I del pittore italo-americano (1969, oil on canvas, 38 x 30 cm), che, illuminata da un occhio di bue, si è materializzata improvvisamente nel buio della galleria, interrompendo il silenzio con un lungo applauso. L’azione dell’artista più giovane che toglie il velo  della consistenza del passato che forgia i nostri gesti e concatena i pensieri.

Russotto presenta su tela un oggetto di uso comune che non ha niente di pop, ma che racchiude il seme dell’espressionismo. È una natura morta di un Caravaggio dei nostri tempi, come i colleghi americani solevano chiamare il pittore, che porta il segno della modernità nell’ombra allungata e deformata dalla percezione dell’artista, ignaro e indifferente dell’oggettività del visibile. L’opera risulta così animata da uno spirito di osservazione profondo, una curiosità endemica che ha mosso la mano del pittore nell’indagare l’indecifrabile verità delle cose attraverso la propria emotività. Il parallelismo con L’Homme di Man Ray (1918, Gelatin silver print, 48.3 x 36.8 cm) , come poi intuirà Grosso dopo aver scelto l’opera fra quelle della ricca produzione di Russotto, è un’ ulteriore conferma della riflessione intrapresa dall’artista calabrese. Nel momento preciso della composizione, l’artista è un medium che opera a livello inconscio, filtrando e inglobando tutto ciò che accade attorno a lui in un’opera che contiene in sé le condizioni della sua stessa nascita. Un atto di azzeramento del tutto, una purificazione dunque, necessari alla creazione, onde evitare la contaminazione con gli intellettualismi che furono oggetto di critica proprio nell’ambito dell’espressionismo.

La ricerca di Paul Russotto, osservando il suo percorso artistico, non si discosta da quella dell’allievo/antagonista: è infatti una ricerca continua, sempre mossa da un intento personale, che ha portato l’artista a mutare liberamente stili e forme di espressione, da un’arte più figurativa sino alle tele astratte, passando per i grandi collages realizzati negli anni ’80 con i disegni precedenti, mediante l’operazione di un taglio fisiologico che non distrugge ma ricrea la produzione del passato. La serata si è conclusa con un party privato nel quale sono state presentate le opere Zenit di Gianfranco Grosso (Iron, 2012, mixed media, 150x18x18 cm) e  Study of myself wearing a Pablo Picasso mask di Paul Russotto (2000, gouache, collage, assembled drawing, 61x98cm), ora presenti in galleria. Le opere, disposte agli estremi di un’immaginaria diagonale che divide lo spazio espositivo, costringono il fruitore a posizionarsi nel fulcro dell’incontro/scontro fra i due artisti,  sons of the South, accomunati dall’origine nel Sud dell’Italia e ritrovatisi in un’ideale simposio con gli artisti che segnarono periodi storico-artistici fondamentali nel ‘900: il confronto stabilisce di fatto un legame fra più generazioni tramite due opere che omaggiano l’una Man Ray e Duchamp, l’altra Pablo Picasso.

Seguendo la propria indagine nell’ambito della pittoscultura, Grosso propone un oggetto trovato, ossia un ready made di matrice duchampiana, il vecchio ferro da stiro marca “Zenit” che fu uno dei primi con piastra riscaldata elettricamente a essere prodotti in serie negli anni ’50; così come Man Ray fece con il Cadeau (1921), un ferro da stiro acquistato da un rigattiere su cui applicò una striscia con 14 chiodi, stravolgendone la funzione stessa. L’operazione Dada creava così un effetto straniante, trasformando l’oggetto in questione in un nuovo oggetto, dotato di tutto il fascino dell’ignoto. Grosso ha restaurato il pezzo e operato l’ incisione di una stella sulla piastra, con chiari rimandi alla Tonsura sulla nuca di Marcel Duchamp (1919) fotografata da Man Ray e alla loro collaborazione. Attraverso le fenditure emerge il colore rossastro della ruggine, a ricordare l’essenza della materia che c’è sotto ciò che vediamo. Del tratto “violento” dato dall’effetto contrario dell’opera di M. Ray, non resta che il rosso sangue del manico, traccia di una metamorfosi compiuta. Presentata in forma totemica su un parallelepipedo bianco, l’opera funge da catalizzatore di energie diverse e rivolgendosi ad un’ideale tribù artistica, invita alla partecipazione attraverso l’apertura dei sensi e la condivisione di un orizzonte visivo. I canali di accesso sono cinque, ma, secondo Grosso, è un sesto ad essere fondamentale per l’artista, poiché permette di concretizzare gli altri e dare forma ad un sapere da trasferire. “Gli artisti – d’altronde – si annusano”, si riconoscono a livello olfattivo, come ha spiegato Marcello Pirro in dialogo con l’artista a Venezia. Le punte dei 14 chiodi di M. Ray sembrano congiungersi nelle cinque della stella, ad indicare un irreale punto di convergenza sulla superficie, metafora dello Zenit, l’intersezione fra la sfera celeste e la verticale del luogo in cui si trova l’osservatore. Solo chi osserva da vicino può scorgere la propria immagine proiettata sul riflesso della realtà circostante e coglierne i molteplici impulsi.

Tutt’altro che un marchio di fabbrica, la stella è un potente simbolo che ritorna nelle opere di Grosso e trova ogni volta un nuovo significato attorno al quale si raccolgono le idee, incanalate nelle scelte dell’autore con un’anticipazione esoterica di ciò che non esiste ancora, fungendo da portale fra la grandezza dell’universo delle possibilità e la peculiarità della realizzazione artistica. Dall’altro lato, l’opera di Russotto si impone allo sguardo con i suoi colori quasi prepotenti. Il grande occhio che domina il centro della tela scruta il mondo circostante, un’inquietante finestra che permette al pittore di guardare all’esterno, ma anche di essere visto nella sua sostanziale fragilità. È l’autoritratto di un artista che non confonde la propria identità, dato che quella picassiana è solo una maschera, un possibile modo di espressione di una realtà riformulata dall’imprinting sulla sfera interiore, elemento imprescindibile della comunicazione.
Il testo critico di Alan Jones, scritto a Parigi per l’occasione, proprio nella città dove fu presentata la prima opera dadaista europea di Man Ray, cui fa omaggio quella di Grosso, è una vera e propria poesia dedicata all’amico Russotto, che procede per immagini e sensazioni sfuggenti lungo un cammino personale nelle intrecciate vicende dell’arte e sancisce il legame transitorio fra i due artisti in un teorico filo di congiunzione.
Per la ricorrenza di “00176 – Pigneto città aperta”, rassegna tenutasi dal 24 al 26 maggio, la galleria ha inoltre ospitato la performance di Tiziana Lo Conte e Alessandra Ballarini, che sintonizzando la loro arte sonora elettroacustica con le opere presenti, hanno eseguito un’esplorazione narrativa in continuo dialogo con le trasformazioni istantanee dell’ambiente espositivo e della materia artistica. Il 9 giugno alle ore 21.30 si terrà nella galleria un “Bicchierage”, un brindisi non di chiusura ma di augurio, e sarà riesposta l’opera Corksrew I di Paul Russotto, a completare il complesso programma generale. Una mostra, densa di contenuto dunque quella in corso presso LaStellina ArteContemporanea, che ha riempito lo spazio non fisico ma sensoriale della galleria con molteplici rimandi concettuali di grande forza evocativa. Volgendo uno sguardo al futuro delle nuove generazioni, si compie un viaggio nella Storia dell’Arte del ‘900, di cui i due artisti sono testimoni nonché “fagocitatori” consapevoli. Russotto è l’emblema di questa operazione: artista attivo fra i pilastri dell’espressionismo americano come De Kooning e ultimo di Tenth Street, appartiene ad una zona d’ombra della Storia dell’Arte tutta da riscoprire, al fine di evitare una divisione in correnti delimitate, da cui l’arte contemporanea inevitabilmente si discosta, e cogliere la mutevole scia che gli artisti tracciano nelle loro esistenze. Anche perché, come ha detto lo stesso Alan Jones congedandosi dagli invitati al party di inaugurazione per immergersi nella notte romana, “per fare una linea ci vuole una vita intera”.

Fino al 9 giugno; Stellina arte contemporanea, via Braccio da Montone 93, Roma; info: www.lastellinaartecontemporanea.com

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