Mi hanno colpito alcune affermazioni del direttore dei musei Vaticani, Antonio Paolucci, recentemente rilasciate in una conferenza al terzo incontro del ciclo Conversaciones en el palacio de España, promosso dall’ambasciata di Spagna presso la Santa sede insieme al Pontificio consiglio della cultura sul bello e il sacro nell’arte. Secondo quanto riporta l’agenzia Sir, Paolucci avrebbe affermato che, al di là della secolarizzazione, la principale causa del divorzio tra artisti e sacro sia «lo sganciamento della dimensione estetica dall’alveo dell’arte. Dalle avanguardie in poi – dice il direttore – la bellezza non abita più la creatività. Lo statuto dell’arte è stato infatti usato per esprimere idee, anche dissacrazione, ma non più estetica»; la bellezza abita invece «gli oggetti quotidiani: abiti, accessori, automobili».
Resto dubbioso di fronte a queste affermazioni, anche in considerazione del fatto che Paolucci è curatore del padiglione Vaticano della biennale di Venezia, evento per eccellenza di arte contemporanea. È possibile che la bellezza non abiti più l’arte del nostro tempo? Lo sganciamento della dimensione estetica dall’alveo dell’arte è poi veramente la causa principale del divorzio tra arte e fede? Di certo, occorre riflettere sul concetto di bellezza. Se siamo infatti ancorati alla bellezza rinascimentale che si manifesta secondo principi di armonia, euritmia e proporzione, oggi si presenta in modo diverso. Il bello è piuttosto compreso nella capacità di un’opera di suggerire e di rinviare a un universo di significati, facenti riferimento a un’esperienza umana, rimandando alla sfera inesauribile del senso. È il luogo in cui si concentra una maggiore densità simbolica da interpretare. Il bello diventa la possibilità di rinviare a un crocevia di significati, facenti riferimento a un’esperienza umana, rimandando alla sfera inesauribile del senso. La bellezza consiste nella capacità di comunicare un’esperienza di pienezza di senso che si apre al mondo, agli altri, all’assoluto, non esprimibile altrimenti. Il bello si dischiude sulla vertiginosa profondità dell’esperienza dell’uomo di fronte al mistero della vita, di Dio.
Secondo questo punto di vista, la bellezza non è più in relazione a principi di armonia ma è il luogo in cui un’esperienza di vita è comunicata. Troppi sarebbero qui gli artisti da citare del secolo appena passato, appartenenti alle correnti più svariate, da Klee a Kandinsky, da Rothko a Chagall, da Tarkovsky a Viola… Se questa pienezza di senso si esprimeva nel Rinascimento attraverso principi mutuati dall’estetica greca, oggi parla un linguaggio diverso. In che modo sarebbe inoltre possibile parlare di bellezza di fronte a capolavori del passato, come la Crocifissione di Grünewald di Isenheim, nel momento in cui contraddice la bellezza rinascimentale? È un’opera splendida, perché parla del dolore dell’uomo di fronte alla morte. Allo stesso modo nessuno si sognerebbe di dire che le opere di Van Gogh hanno abbandonato la bellezza, perché non rispettano i principi armonici greci. E potremmo continuare all’infinito con gli esempi. Che poi ci siano degenerazioni, è un dato di fatto. Tuttavia, occorre distinguere i diversi casi.
Riguardo la relazione tra arte e sacro, non credo che lo sganciamento della dimensione estetica dall’alveo dell’arte sia la causa principale del loro divorzio. Perché questo divorzio non c’è mai stato. Tutto il Novecento riflette sulla sacralità dell’arte, a iniziare da Kandinsky. Di fatto, la dimensione estetica non ha mai abbandonato l’espressione artistica. Certo, si potrebbero citare estremismi dell’arte concettuale. Tuttavia si tratterebbe solo di alcuni aspetti e non sempre tra i più significativi dell’arte recente. Così come per altre espressioni contemporanee, celebri più per fattori scandalistici o di mercato che per un’intrinseca qualità e una seria ricerca estetica. Sottolineerei piuttosto il fatto che l’esperienza della fede cristiana non è più l’orizzonte condiviso della società. Ci si dimentica che la chiesa ha perso quel ruolo centrale che aveva avuto per secoli di committenza rivolgendosi, parlo soprattutto di questi ultimi decenni, a un mondo di pseudo artisti che hanno distrutto e stanno devastando spazi antichi e moderni. Gli artisti non sono mai stati sollecitati a una dimensione liturgica. L’arte ha percorso sentieri diversi rispetto a quelli della fede. Si tratta di ricucire questo legame, peraltro mai del tutto dimenticato. Tuttavia, l’arte non ha mai abbandonato la bellezza. Se così fosse, vorrebbe dire che l’uomo è morto, che Dio non è più presente nella storia dell’uomo, che l’uomo ha voltato per sempre le spalle alla ricerca della bontà e della verità, se è vero che bonum, verum et pulchrum convertuntur, come diceva san Tommaso. La vera arte è sempre sacra. Di questa arte il Novecento ha consegnato esempi straordinari.