Biennale, secondo round

La biennale corre, corre e corre e noi la seguiamo ovunque. Giovedì 30 si sveglia con le luci delle straordinarie installazioni di Pedro Cabrita Reis, l’artista portoghese a cui è stata dedicata una personale nel piano nobile di palazzo Felier. In A remote whisper le opere si snodano lungo i 700 mq della location invadendo pareti, pavimenti lasciando al visitatore libera scelta di percorso. Nessuna costrizione logica ma libera percezione degli spazi lasciandosi coinvolgere dai fasci di luce che traducono in emozioni lo studio dell’artista da sempre dedicato a tematiche come la casa, l’abitare, le costruzioni e il territorio. Il Montenegro è presente con il progetto Image think di Irena Lagator Pejovic. L’artista elabora una sua analisi dell’arte come strategia sociale avendo come obiettivo la riflessione sulle potenzialità della responsabilità illimitata di ciascuno di noi. Tra le varie opere, palazzo Malipiero, ospita Image think che rappresenta la triangolazione tra immagine-copro-medimu. «Questi spazi negli spazi – sottolinea Pejovic – esistono per tradurre la visone in pensiero, l’esperienza sensoriale in senso, l’assenza in presenza, sollevando anche questioni rispetto alla responsabilità personale e collettiva in relazione alla creazione dell’immagine».

L’Azerbaijan entra in campo per difendere il proprio patrimonio culturale legato alla millenaria tecnica ornamentale. Il progetto Ornamentation trasforma la tradizione miscelata con astrazione in concetti fondanti sulla creatività, osservati anche in opere concettualmente forti come quelle del giovane pittore Butunay Hagverdiyev che utilizza lettere per creare un’immagine astratta della comunicazione non verbale. Uno studio legato a problematiche sociali alla base della comunicazione infatti, ad esempio, l’alfabeto in Azerbaijan è cambiato tre volte: arabo, cirillico e in fine latino. Venti anni di biennale e di arte contemporanea cinese sono raccontati in Passage to history, un approfondimento attraverso gli archivi di quella storia che ha dato vita alla storia stessa. «Quale direttore della biennale del 1993 – afferma il curatore Achille Bonito Oliva – ho portato in occidente un numero sufficiente di artisti di avanguardia che testimoniavano con le loro opere di aver superato la Muraglia cinese e di aver creato un dialogo con le correnti artistiche occidentali. Passato un ventennio – continua il critico – è possibile riscontrare la trasformazione dell’arte cinese e la liberazione della ricerca, dovuta anche a una maggiore flessibilità politica. Infatti si sono aperti numerosi fronti di ricerca tra figurazione, astrazione, video e performance». Che la Cina si faccia notare e sentire ora mai non ci sono dubbi lo conferma un altro padiglione Voice of the unseen, la vicenda dell’arte cinese indipendente 1979/oggi. Il tentativo fino a ora più ambizioso di mettere in luce il lavoro di 188 fra artisti e membri di gruppi che hanno dato vita al movimento dell’arte non ufficiale in Cina. Quattromilacinquecento mq all’interno dell’Arsenale fanno di questo evento un’occasione di portata epocale: la più vasta rassegna d’arte cinese non ufficiale organizzata. Inoltre metà degli artisti sono inediti e mai uscirti dai confini nazionali.

Love me, Love me not mette in mostra i lavori di 17 artisti provenienti da Iran, Turchia, Russia, Georgia e Azerbaijan supportata da Yarat contemporay art organization, organizzazione no-profit per l’arte contemporanea, è curata da Dina Nasser-Khadivi. Un tuffo in diverse culture dove il filtro della vita non si lega a nessuno ma è in linea verso una crescita culturale comune. Glasstress, white light / white heat, a cura di Adriano Berengo e James Putnam, ha proposto agli artisti di confrontarsi con luce e calore, aspetti intrinseci del vetro e della sua lavorazione. Il vetro nasce dalla forza distruttrice e creativa del fuoco, che trasforma gli elementi chimici di base in un fluido modellabile. Il risultato è una materia solida, ma dotata di struttura molecolare caotica, che offre alla luce una varietà illimitata di superfici, colori, trasparenze e riflessi. Il progetto nasce da un’idea di Adriano Berengo e proposto per l’edizione 2009 della Biennale. Oggi, tra gli artisti invitati a partecipare, molti si sono confrontati per la prima volta con questo materiale. L’esposizione è ambientata in tre sedi: oltre a quelle ormai consuete del palazzo Cavalli Franchetti, Istituto veneto di scienze lettere ed arti e del Berengo centre for contemporary art and glass di Murano, quest’anno si affianca anche la Scuola grande confraternita di San Teodoro a San Marco.

Artcurial briest Poulain F. Tajan, prima casa d’aste francese e tra le prime dieci nel mondo, prosegue nel proprio impegno a sostegno delle arti e degli artisti del nostro tempo. In particolare per la Serenissima si propone con il lavoro di un giovane artista, Laurent Grasso, vincitore del premio Marcel Duchamp 2008. Nella splendida cornice di palazzo Nani Bernardo Lucheschi sono allestite una seri di dipinti e due opere video: On air del 2009 e Uraniborg del 2012. Nel primo, sorvolando luoghi inaccessibili e misteriosi, un falco dotato di una piccola telecamera ha filmato il deserto e i paesaggi lunari caratteristici degli Emirati Arabi Uniti. Qui Laurent ha così trasformato un arcaico metodo di caccia in uno strumento di spionaggio, come i moderni droni militari impiegati nelle zone di conflitto. Nel secondo chiamato anche palazzo di Urania, dal nome dalla musa dell’astronomia, è un palazzo, costruito nel 1576 sull’isola di Ven, tra la Danimarca e la Svezia. Finanziato dal re Federico II, la struttura ospitava il più grande osservatorio d’Europa, dove l’astronomo Tycho Brahe trascorse vent’anni studiando e analizzando la configurazione delle stelle e dei moti planetari. Il video Uraniborg opera come un documentario dell’invisibile, il castello di Tycho Brahe, da tempo non esiste più. Costruito prima dell’invenzione del telescopio astronomico, il castello-osservatorio dotato di numerose apparecchiature per l’osservazione astronomica, ha aperto la strada a molti progressi per la conoscenza dell’universo. Una voce fuori campo esplora la linea confine con il visibile e crea collegamenti tra l’architettura e il concetto di apparato espositivo.