Biennale, il padiglione Vaticano diventa realtà

Infine il padiglione del Vaticano alla Biennale diventa realtà! Tuttavia, da quando Paolo VI parlò nel 1964 agli artisti nella Cappella Sistina affermando: «Noi abbiamo bisogno di voi», è passato molto tempo e non si ha proprio la sensazione che la chiesa abbia compiuto da allora un percorso adeguato alle aspettative. È sufficiente constatare come l’arte cosiddetta “sacra” meglio, direi liturgica, sia in realtà una pseudo-arte, ad appannaggio di dilettanti o di amatori armati di buona volontà quanto di incompetenza.

Un tentativo di superare questa frattura decennale tra arte e chiesa è stata la decisione da parte della Santa Sede di essere presente alla Biennale di Venezia del 2013, per volontà del cardinale Gianfranco Ravasi. Ha chiesto a diversi autori di riflettere sui primi capitoli della Genesi, dalla creazione, alla de-creazione, in vista di una nuova creazione, interpretando così l’umano in tutta la sua contraddittorietà, continuamente oscillante tra caduta nel male e desiderio di rinascita. Il filo rosso del percorso sarà quindi biblico. In questo senso, nella capacità di parlare di Dio attraverso la “storia” della creazione risiederà l’originalità della sfida del padiglione, nel suo tentativo di ricucire il dialogo tra arte e fede, oggi ancora troppo dimenticato, come dimostra anche la recente rimozione della cattedra di Jannis Kounellis dalla cattedrale di Reggio Emilia, e sulla quale nessuno, in ambito ecclesiale (ma tanti, in ambiente laico), è intervenuto per mostrare la sua contrarietà.

Secondo questa prospettiva, una commissione ha riflettuto sugli artisti da invitare. Se diversi nomi sono stati presi in considerazione, da Arnulf Rainer a Bill Viola, da David Simpson a Cristina Iglesias, da Mona Hatoum a Doris Salcedo, alla fine gli artisti presenti nel padiglione sono tre: Studio Azzurro, Josef Koudelka e Lawrence Carroll. Se Studio Azzurro riflette sul tema della creazione, proponendo, con una serie di pannelli, una installazione interattiva che ci introduce alla nascita della vita vegetale, animale e umana, il fotografo della Primavera di Praga propone una selezione di fotografie (delle quali alcune inedite) in cui la desolazione, l’abbandono e l’alienazione sono al centro della riflessione. Se con Studio Azzurro ci apriamo al momento germinale della creazione, con Koudelka cadiamo in una sorta di de-creazione, di caduta della vita umana nelle sue contraddittorietà. Carroll (nella foto un’opera nella chiesa di san Fedele a Milano) riflette invece sul tema della rinascita. Per l’artista, raccogliere oggetti abbandonati per poi manipolarli attraverso il gesto della creazione artistica, significa farli rinascere, dar loro nuova vita sottraendoli all’oblio. Ciò che appare un rifiuto, uno scarto, può essere trasformato, riportato a nuova vita, acquisire nuova dignità. L’oggetto diventa allora simbolo del desiderio di riscatto di tutti coloro che attendono una rinascita concreta e reale.

Abbiamo già visto questi autori in tantissime occasioni. Tuttavia, ci domandiamo che cosa apporteranno di nuovo. Di quale riflessione si faranno portavoci su Dio, sul mondo e sugli altri, in uno spazio che non può caratterizzarsi come semplice galleria espositiva. In breve, il senso del padiglione si giocherà sulla domanda: “Dov’è Dio? In che modo si parlerà di Dio?”. L’occasione della Biennale per la Santa Sede è infatti quella di essere chiamata a proporre un serio dialogo tra arte e fede, che non resti sul piano delle intenzioni o delle dichiarazioni. Su questi interrogativi, ne andrà del suo significato, del senso della sua identità.

In questa direzione di dialogo tra arte e fede, occorrerà poi tenere aperta una riflessione sull’arte liturgica, per evitare di continuare a vedere le nostre chiese invase da immagini che si fanno notare solo per il cattivo gusto e per il modo interrogativo con le quali propongono immagini su Dio. Se il padiglione sembra infatti riflettere sulla dimensione del sacro nell’arte, aspetto già ampiamente trattato in tutto il corso del Novecento, anche se non ancora sufficientemente recepito dalla chiesa, la vera sfida è infatti oggi quella dell’arte liturgica. Dimenticare questo aspetto significa bypassare un tema sul quale oggi il dibattito è più acceso che mai. Proprio perché riguarda il senso più profondo dell’identità della chiesa.

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