Alla Jerome Zodo contemporary si è inaugurata la prima personale dell’artista argentino Fabian Marcaccio (1962, Rosariode Santa Fe) intitolata Loveless: variant paintants, a cura di Luca Beatrice. La pittura in Marcaccio si esplica nel suo divenire. Tradizione e metodi più innovativi si fondono per dare vita a una semantica multisfaccettata dove tecniche classiche, la conoscenza del digitale, la fotografia, da poco anche la scultura, permettono all’artista di dare vita a opere complesse che lui stesso denomina con il termine Paintants. «La pittura è da una parte una forma di resistenza che può ancora raggiungere esiti importanti e innovativi – pensa l’artista – apportando nuovi modelli organici e produttivi che coinvolgono cuore, cervello e coraggio».
In mostra si potranno osservare le sue ultime opere, le Rope paintings, che sono tele di grande e medio formato, realizzate con l’uso di corde, vernici ad acqua e inchiostro. Questi lavori «sono massicci e molto materici, ma allo stesso tempo pieni di aria e atmosfera – scrive il curatore – si può infatti vedere il muro e il supporto della struttura, l’ombra che il dipinto stesso proietta sul muro. Sono dipinti sia reazionari che progressisti».Oltre alle tele appena menzionate il visitatore giunge al cospetto di sculture che documentano la propensione di Marcaccio alla deformazione plastica. Sono figure in alluminio e silicone colorato, assemblamenti che posseggono forme stranite e complessi dilatati che si affacciano verso l’esterno.
This just out paintant (2009) e This just in paintant (2009) sono due opere attraverso le quali l’artista riesce a sfidare i confini, andando al di là della fisicità e della percettività dello spazio, come se una forza centrifuga agisse sulla materia in funzione di uno scoppio possibile. Marcaccio così conduce i visitatori lungo la propria ricerca che si promette di aprire una comunicazione continua tra la pittura e altre forme espressive come l’architettura, il cinema e la musica. «La pittura è costantemente rivolta a definire se stessa – racconta l’artista – e a definirsi in relazione agli altri linguaggi in uno stato di complessità, sia dentro che fuori, in una condizione di cambiamento costante».
Fino al primo giugno; Jerome Zodo contemporary, via Via Lambro 7, Milano; Info: www.jerome-zodo.com