Il campo non è neutro

Alla sua prima personale in un museo italiano Andrea Kvas è ospite nello spazio del sacello al museo Marino Marini di Firenze con la mostra Campo, curata da Alberto Salvadori e Barbara Casavecchia. Una serie inedita di lavori, composti da elementi in poliuretano espanso e legno, rielaborati in situ e in progress fino al giorno dell’inaugurazione. Kvas interpreta l’arte come un processo conoscitivo tra materiali e spazio espositivo dove le opere prendono forma e acquistano significati sempre nuovi. Lo spazio è quindi funzionale, un campo d’azione su cui agire. “I procedimenti fisici del mio lavoro sono semplici e ripetitivi – scrive – sto in uno spazio per il tempo necessario a dimenticarmi che ha qualcosa che potrebbe bloccarmi, come un paio di scarpe nuove che ricordi di avere ai piedi solo i primi giorni, per poi ignorarle”.

Così l’artista lavora contemporaneamente con moltissimi materiali, modifica e ibrida a più riprese, spesso interviene sugli stessi lavori a distanza di tempo per non concentrare la propria pratica su un singolo oggetto e sviluppare una postura fluida. «Campo – dice Kvas – rimanda a uno spazio d’azione, a un’orizzontalità che mi è vicina. Si lega a un immaginario semplice. A volte penso al lavoro come alla cura di un giardino. Un sistema vivo, dove c’è solo un costante modificare, se stessi e il giardino. Non si parla di risultati, ma di effetti, ripercussioni, evoluzioni, mutazioni, cicli. Campo mi fa pensare anche a un “accampamento, alla tappa di qualcosa che è in movimento, che arriva, si ferma per un periodo e poi riparte. Al gioco, ma anche alle battaglie – continua – è uno spazio convenzionale adibito a una cosa, come d’altra parte è uno spazio d’arte. A volte ci si dimentica che gli spazi espositivi sono artificiali, convenzionalmente adibiti a mostrare il lavoro degli artisti. Una mostra non coincide col lavoro dell’artista, ne è solo la messa in scena, la possibilità di un incontro ravvicinato in un contesto neutro. Anche in questo senso, la parola campo mi piace. È una parola italiana elementare, familiare. Non intimorisce e tutti ne padroneggiano i molteplici significati, senza sentirsi in soggezione o in dovere di capire qualcosa che va oltre quello che c’è. E questa è l’attitudine con la quale vorrei venissero avvicinati anche i miei lavori”.

Fino al 6 aprile; museo Marino Marini, piazza san Pancrazio, Firenze; info: www.museomarinomarini.it