Più libri più liberi

Corridoi stretti nel palazzo dei Congressi all’Eur. Stand in ogni dove, da oggi e per tre giorni. È partita la fiera della piccola e media editoria più libri più liberi. Fino al 9 dicembre l’architettura di Adalberto Libera sarà sepolta nella carta. Infiniti titoli, mille colori, un’invasione di copertine per una quantità di materiale che non basterebbe ripercorrere la storia dal paleolitico per leggerla tutta. E quindi gioia, felicità per la possibilità di una scelta così vasta. Il sogno di tutti, il paese dei balocchi. Eppure, nella fiera gli unici che sorridono sono i direttori (o chi per loro) dietro ai banchi. Il visitatore si aggira sperduto accusando lo sbalzo termico, definirlo felice sarebbe una bugia. Ha la stessa espressione del turista che si imbatte nel Louvre. Il perché di questo dolore volontario è poco chiaro. Una cosa è certa, quantità non è sinonimo di qualità.

Quasi 400 espositori, divisi fra i due piani dell’edificio, sono i numeri di questa undicesima edizione. Chiedersi il perché di tutta questa abbondanza viene naturale. Passeggiando fra gli stand si scoprono case editrici sconosciute che non arrivano a due collane. Case che non hanno nessun peso sul mercato e che vivono sul filo del fallimento. Abbiamo chiesto a una manciata di editori se sono disposti a unire le loro forze con quelle di un altro marchio. Lo scopo è essere più competitivi sul mercato limitando anche la produzione a meno titoli ma ben pensati e pubblicizzati. «L’unione ha un senso – dice Carla Fiorentino della Nottetempo – se pensiamo alla distribuzione. Spesso le case editrici minori non riescono a raggiungere le librerie perché sono schiacciate dai gruppi più grandi. Questo comporta meno notorietà e meno soldi, unendosi potrebbero risolvere i problemi. Anche se la vedo difficile perché ogni editore ha un rapporto quasi morboso con le sue collane e per niente sarebbe disposto a lasciarle in altre mani».

Per Salvatore di Maio e Costantino Maffetti della Minimum Fax: «La casa editrice più grande del gruppo prende il sopravvento sulle altre, forse l’unico modo è quello di venirsi incontro con le presentazioni e gli eventi in generale dividendone i costi e aumentando il pubblico ma senza unirsi, anche perché il mercato perderebbe vitalità». Massimo di Clemente della Tunè è per l’indipendenza pura, quella che mantiene un rapporto speciale fra pubblico ed editore: «È giusto che ci siano case piccole, così si ha la possibilità di capire e assecondare i gusti del cliente». La Isbn nutre dei dubbi sulla distribuzione: «Ci sono delle società – afferma Caterina Vodret – che lavorano proprio per portare i libri negli esercizi. Poi mettere d’accordo più gruppi la vedo veramente difficile. Tutti hanno una propria idea del libro e non credo che qualcuno sia disposto a scendere a compromessi». La Giulio Perrone e L’erudita dividono uno stand all’interno della fiera, Valentina Beronio e Samanta Giriamone sono d’accordo per le collaborazioni. «C’è molta competizione nel mercato – dicono – anche fra le case più piccole. Collaborare è una via ma unire il capitale diventa un problema. Alla fine si avrebbero gli stessi soldi di prima con in più mille riunioni per arrivare a un punto comune che forse non arriverà mai».

Quasi nessun editore si è detto disposto a fondersi, eppure, in un paese dove ci sono più scrittori che lettori la sopravvivenza diventa utopia. Si ha quasi la sensazione che unirsi sarebbe come perdere l’ideale dell’indipendenza. La figura dell’editore che stampa, andando anche incontro alla miseria, un libro in cui crede è ancora molto forte. Non che questo sia sbagliato, ma di libri così forse ne capita uno nella vita se sei fortunato.

fino al 9 novembre

Palazzo dei congressi, piazza John Fitzgerald Kennedy, Roma

info: www.piulibripiuliberi.it