Lontano da dove

Gli atelier e le cisterne della Pelanda accolgono otto artisti e una poetessa in una mostra fatta di suoni, immagini pittoriche e video, reminiscenze e denuncia politica. Punto di partenza la Sardegna. Lontano da dove è il titolo. A indicare una distanza non solo geografica ma concettuale. La distanza che deriva dal luogo natale. Questo inevitabilmente, lo si voglia o meno, plasma l’uomo istillando in lui aspetti peculiari derivanti per l’appunto dal luogo in cui la concretezza delle cose – la morfologia del paesaggio, la tradizione, la storia – è intrisa del sentimento del luogo. Quel paesaggio fisico pertanto diventa pensiero e lo si porta dietro, a volte come un bagaglio a mano, a volte come un macigno, in definitiva sempre come una bussola che orienta le vite dei nativi.

E così anche lontano dalla terra natale, rimane dentro quello spazio fisico, psichico e concettuale innestato nell’animo e nel carattere di ogni individuo. Per i protagonisti della mostra alla Pelanda il luogo interiore è per tutti l’isola sarda. Così si snoda il percorso curato Maria Rosa Sossai che si propone l’arduo ma affascinante compito di ricostruire, seppur in modo non esaustivo, il quadro artistico sardo. Il tragitto della mostra parte già fuori dallo spazio espositivo, giacché il visitatore percorre il lungo tragitto (nella serata inaugurale puntellato da candele) che lo conduce a contatto con il paesaggio isolano e i suoi autoctoni. Per ogni atelier (a piano terra) e per ogni cisterna (al primo piano) un artista. Per il collettivo as.Namusn.art e Pietro Mele l’arte è denuncia politica. Il primo presenta il progetto che – iniziato due anni fa– si apre ai concittadini, accogliendo al suo interno anche le testimonianze degli abitanti della Maddalena, tristemente nota per il progetto, poi abbandonato, di divenire palcoscenico per il G8 del 2009. Pietro Mele è fermo, duro e implacabile. Nel video Every day, attraverso la sovrapposizione di pochi essenziali elementi, ammonisce ciò che lentamente svela: il territorio sardo, è il luogo delle esercitazioni militari della Nato e anche del collaudo degli ultimi sistemi d’arma; per via del segreto militare la popolazione è tenuta all’oscuro, ma lei a subire il dramma delle malattie che derivano dalla attività della Nato.

E poi c’è la memoria che, si sa, è un misto di ricordi, alcuni sono un po’ sbiaditi, altri meno. Si sommano e si sedimentano nell’animo. Questo procedimento è sottolineato, attraverso un altro, quello artistico che realizza i Tracciati di Rachele Sotgiu. Coinvolge appieno lo spettatore l’installazione Braün di Carlo Spiga. L’artista-antropologo ricerca, studia, documenta e archivia i suoni, insieme alle immagini e gli oggetti, dei contesti in cui ha vissuto. Un intervento d’eccezione è quello realizzato appositamente da Antonella Anedda. La scrittrice e poetessa utilizza le parole coniugate con vecchi ma cari oggetti: un lenzuolo di lino, la fodera di un cuscino, una scatola di legno. La metafora del filo e dell’ago tesse un ambiente suggestivo e intenso intriso di un passato vivo nel presente. Seguono altre opere: dalla ricerca sperimentale e sociale incentrata sui suoni di Giulia Casula, alle sculture di Marco Lampis che inducono a un rinnovato approccio – mentale – con gli oggetti, da (Un) giardino di Stefano Seruti, riflessione sullo spazio e sul suo addomesticamento, fino a giungere all’Eco carico di energia, ma venato anche di ironia, di un alpinista a Napoli, Cristian Chironi, solo apparentemente fuori contesto. Esplorazioni artistiche che divergono sì, ma trovano anche dei punti di contatti, come ad esempio una spiccata attenzione al sociale.

fino al 29 novembre

Macro, piazza Orazio Giustiniani, Roma

info: www.museomacro.org

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