Visi d’angelo su corpi mozzafiato. Procace sensualità celata da pose ironiche e maldestre. Il tutto condito da ampi sorrisi, nasini all’insù e occhi da cerbiatto. E gli abiti dal gusto discreto concedono allo sguardo qualche lembo di pelle accidentalmente scoperto, probabilmente ingabbiato nel mitologico reggicalze. Le pin up (letteralmente “appendere su”), queste prorompenti ragazze della porta accanto, pioniere della stampa lasciva francese di inizio Novecento, furono le madonne laiche dei plotoni a stelle e strisce della Grande guerra che le strappavano impazientemente dalle riviste per attaccarle come santini negli accampamenti o negli armadietti, a portata di sguardo. Durante il secondo conflitto mondiale non passarono di moda, anzi vennero elevate a vere e proprie mascotte più che a strumenti per far galoppare le fantasie dei soldati, rimaste strozzate dagli orrori della guerra.
Eccole apparire sulle riviste dell’esercito come Yank, fondata e diretta da Hartzell Spence, l’inventore delle pin up. Fu lui infatti il primo a decretare la necessità di porre sulle sue copertine giovani donne leziose che poi divennero le dive di Hollywood. Rita Hayworh, Hedy Lamarr, Betty Grable, Marylin Monroe: un successo spropositato. Gli uomini, con una mano sul cuore e una pin up in tasca, affrontavano la morte con il morale più alto, come ammise persino “Ike” Eisenhower. I seni prorompenti, le lunghissime gambe e i volti ammiccanti avevano il potere di rendere le fantasie comuni più palpabile e, dunque, la quotidiane abitudini più vicine. In quegli anni, le pin up divennero delle vere e proprie mascotte, tanto da essere dipinte sui bombardieri – come il B-17 da cui venne tratto il film Memphis Belle – dando vita al fenomeno della nose art, la pittura che decorava gli aerei militari sul “naso”. Un’arte che contagiò i migliori illustratori americani – o trapiantati in America – dell’epoca che, a colpi di olio e pastello, le ritrassero nelle loro pose più celebri. Rolf Armstrong fu uno dei precursori, operando da prima della guerra, mentre il fervido movimento della pin up art, che attinse molto dalla sua opera, esplose nel bel mezzo del conflitto, negli anni Quaranta. Artisti come Earl Mac Pherson, Pearl Frush, Earl Moran, Peter Driben, George Petty, Edward Runci, Billy DeVorss, Zoë Mozert, Joyce Ballantyne e naturalmente Alberto Vargas rappresentarono, con uno stile dal sapore omologato, uno spaccato storico fatto di sogni zuccherosi e rassicuranti speranze.
Considerato tra i più grandi del genere, Gil Elvgren ha tra i suoi meriti anche quello di essere stato un avanguardista del fotoritocco. Disegnatore ma anche fotografo, l’artista partiva da scatti in bianco e nero e poi, nell’illustrazione, migliorava i tratti delle modelle a suo gusto, per renderle più appetibili. I risultati erano prodigiosi e i suoi lavori sono rimasti celebri nella storia e nell’immaginario comune. Dopo la guerra, la prorompenza del boom economico aprì le porte al consumismo e agli eccessi, di cui le pin up divennero testimonial, complici di un pubblico sempre più affamato di ricchezza. La pop art non restò indifferente a questa vivace sfumatura e Mel Ramos, in particolare, con le sue donnine adagiate voluttuosamente su qualche marchio importante, ne è stato uno dei massimi esempi.
Era un momento di rivoluzione sociale e di costume, e le pin up persero la loro aria verginale per riconoscersi in un’unica, grande icona del “fetish”, Bettie Page. Ma proprio questo nuovo fermento dettò l’esigenza di modelli femminili altri, più spigolosi e meno casti, decretando la fine di miti come Tura Satana di Faster, Pussycat, Kill Kill che rimasero leggenda per registi di “exploitation” e amanti di cult movie, uomini nostalgici e donne grassottelle. E se le mode, regolarmente, si riaffacciano negli anni, ecco che oggi le pin up tornano in auge arricchite di nuova forza e spirito, grazie a una riscoperta del vintage nei campi più disparati. Contaminate da elementi che non gli appartengono del tutto, in questo periodo storico le “ragazze da appendere” sono performer burlesque, ammiccano al gotico, si riempiono di tatuaggi “old school” e cantano in gruppi psychobilly. Sono le nuove icone come Bernie Dexter o la più nota Dita Von Teese a dettare il loro stile contemporaneo. Si perde la magia dell’innocenza e si lascia spazio ad una stravaganza che sa di polvere stantia. Una nostalgica voglia di sedurre che si staglia su un paradossale e triste “già visto” da cui le pin up erano immuni, forti della loro inimitabile originalità.